Missioni Consolata - Maggio 2016
36 MC MAGGIO 2016 Misericordia voglio cando la ricostruzione del tempio e la ricomposi- zione di Israele come popolo di Dio nell’unica terra che è la terra d’Israele, terra di Dio. Durante il Giubileo, dunque, si doveva fare riposare la terra: non si doveva seminare, né potare o ven- demmiare la vigna; i frutti dovevano restare sugli al- beri e sulla vite; chi aveva riserve in cantina, poteva usarle fino a che gli stessi frutti restavano natural- mente sull’albero, ma quando cessava la stagione, dovevano essere distrutte anche le riserve nei depo- siti, che di solito erano appannaggio dei ricchi. Con ciò si affermava la parità assoluta tra ricchi e poveri e si ristabiliva un criterio di giustizia che metteva un freno alle prevaricazioni. Nell’anno del Giubileo, infine, non si doveva preten- dere la restituzione del debito. Quest’ultima norma ha avuto effetti micidiali, perché, all’approssimarsi del Giubileo, nessuno faceva più prestiti ai poveri con la conseguenza di aumentare la povertà, vanifi- cando così il dettato divino, anzi capovolgendolo. Alla luce di questa tragica situazione, alcuni anni prima di Gesù, il grande rabbì Hillèl, di cui fu disce- polo l’apostolo Paolo di Tarso, stabilì la norma che i debiti fossero trasferiti al tribunale che ne garantiva il riscatto, venendo in aiuto ai poveri. Si potrebbe dire che, come in tutte le culture e in tutti i tempi, fatta la legge, si è trovato l’inganno. Ritrovare il senso del tempo e dello spazio Da un punto di vista teologico, poiché il Giubileo ri- guardava un determinato periodo di anni in rela- zione a un determinato territorio fisico, è coerente pensare che esso sia il primo germe di una Teologia della Storia perché pone al centro della riflessione due elementi costitutivi della fede cristiana: il tempo e lo spazio, cioè l’ambito «umano» in cui si svolge l’esperienza dell’alleanza e quindi si vive la salvezza (in campo cattolico, indichiamo a modo di esempio solo due autori: H. Urs Von Balthasar, Teologia della storia. Abbozzo , Morcelliana, Brescia 1969; W. Ka- sper, Fede e storia , Queriniana, Brescia 1985). Il tempo biblico non è la ruota ciclica (O) dei Greci che s’identifica con il destino, in quale si attua indi- pendentemente dalla volontà dell’individuo che sog- giace al volere degli dèi. Non è nemmeno la linea retta (→) dei Romani che avanzano senza mai fer- marsi come una legione a testuggine, verso un pro- gresso senza limiti. Il tempo biblico è la sintesi del cerchio greco e della retta romana che si trasforma in una spirale, cioè non un semplice ritorno (Greci) né un inesorabile progresso lineare (Romani), ma una ripresa costante di ciò che precede, amalga- mato con quello che segue, salendo di un gradino verso l’alto: la spirale appunto, un cerchio aperto che procede in avanti perché sale. Questa immagine ridefinisce il concetto di tempo che non è più una dimensione cronologica (una cosa dopo l’altra), cioè una successione anonima di fatti che capitano per essere subìti in una rassegnazione sistematica. La spirale porta in sé l’idea di una circo- larità arricchita da occasioni coscienti, messe in atto dagli eventi, ma specialmente dalle persone, capaci di dare una svolta all’anonimato, e quindi anche di cambiare il senso e la direzione della storia. È il con- cetto di «kairòs - occasione» che mette in evidenza l’aspetto di qualità del tempo. Vi sono fatti indiffe- renti e fatti che cambiano il corso della storia. È que- sto il caso dell’Anno santo della Misericordia di Papa Francesco. In altre parole l’uomo biblico non subisce meccani- camente il susseguirsi della cronologia, ma con le sue scelte può influire, nel bene e nel male, indu- cendo la storia ad andare in una direzione o in un’al- tra. È il concetto di responsabilità che si richiama di- rettamente alla coscienza. In rapporto a Dio, il tempo dell’uomo diventa «liturgico», in quanto «re- galato» al rapporto con il divino attraverso riti e atti stabiliti da un protocollo (rituale). Ciò esige per sua natura anche la riserva di uno spazio dove il tempo celebrato possa trovare espressione e dimensione: nascono il tempio, i santuari, le chiese, le moschee come simboli della sintesi tra tempo e spazio. L’uomo tende a sacralizzare perché nel consacrare o nel separare ambiti (spazio) e dimensioni (tempo), definendoli «sacri» in quanto distinti dal «profano», trova una garanzia e una sicurezza garantita dalla ri- petitività dei gesti, delle liturgie e delle parole (rubri- che) che offrono un certo grado di inamovibilità e perennità, quasi a volere lambire così il mondo di Dio. Per questo, nella vita di ciascuno si individuano cinque tappe «storiche» da consacrare come appun- tamenti quasi «giubilari»: la nascita (battesimo), la crescita (cresima), la fecondità (matrimonio), la sof- ferenza (unzione infermi), la morte (esequie). Paolo Farinella, prete (7, continua) # Pagina precedente : 1 gennaio 2016, apertura della Porta Santa di Santa Maria Maggiore a Roma. Qui sopra : la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. © AfMC / Benedetto Bellesi
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