Missioni Consolata - Maggio 2016
trarne profitti sociali. Ed ecco che la villa di Riina diventa un istituto agrario e poi una caserma; ecco che i terreni agricoli già dei mafiosi sono lavorati da cooperative di giovani che producono vino-olio-pasta e via elencando; ma soprattutto ecco iniziative economiche e lavoro li- beri . Libertà che dei soggetti coinvolti fa cittadini titolari di diritti, non più sudditi costretti a baciare le mani del mafioso di turno (sporche del sangue dell’ultimo delitto commesso). Sta qui il significato profondo della legge: fare dell’antimafia una legalità che conviene, che resti- tuisce quel che la mafia ha «mal-tolto». Una legalità che non sia soltanto questione di guardie e ladri, ma sappia invece coinvolgere chi prima restava alla finestra, se non peggio. Il capolavoro di Ciotti non è consistito soltanto nella for- mulazione di un progetto di legge. All’idea don Luigi aveva dato gambe organizzando una raccolta di firme per sostenerla. Alla fine le firme erano state un milione. Una montagna. A una tale pressione non si poteva resi- stere. Ed ecco che la legge era stata approvata all’unani- mità (ma senza estenderla ai corrotti, come invece stava scritto nel progetto originario). Una unanimità che, in ogni caso, ha costituto una formidabile legittimazione da parte di tutto il popolo italiano alle cooperative che da allora lavorano sui beni confiscati ai mafiosi assieme a varie associazioni scelte con bando pubblico, fra le quali figura «Libera», l’associazione che rappresenta l’ennesimo capolavoro di don Ciotti. Col tempo, la confisca e l’assegnazione dei beni mafiosi hanno raggiunto dimensioni enormi. Perché enormi sono i beni che la mafia ha potuto accumulare in anni e anni di sostanziale impunità «patrimoniale». E perché enormi sono stati i progressi degli inquirenti sul versante dell’attacco alle ricchezze mafiose. Enormi, purtroppo, sono diventati anche i problemi da affrontare per la ge- stione e assegnazione dei beni, a fronte dell’esiguità di uomini e mezzi dell’Agenzia a ciò preposta. Mentre è ve- nuta delineandosi anche un’antimafia degli affari o delle partite Iva: un sistema di relazioni opache. Contro «Libera»: schizzi di fango, guerre e falsità Schizzi di fango, ogni tanto, si tenta di indirizzare addirit- tura verso «Libera» e don Ciotti, con accuse inconsi- stenti che, in un’apposita audizione dell’Antimafia (lo scorso 13 gennaio, ndr ), sono state tutte smontate. Chi riesce a tenere la barra sempre dritta diventa un sim- bolo e può urtare la «suscettibilità» di qualcuno. Soprat- tutto se una certa informazione preferisce concentrarsi morbosamente sui presunti retroscena, scorgendo scan- dali anche quando non ce ne sono. In «Libera» non c’è alcuna «guerra». Esistono una dialettica, uno scambio, una differenza di vedute: fatti normali nella vita di un’as- sociazione in cui le persone discutono apertamente e ta- lora anche aspramente. Il confronto è sempre un arric- chimento. Ma può anche accadere che, dietro uno sban- dierato impegno, si nascondano intenti non del tutto di- sinteressati. C’è il rischio (che Ciotti non si stanca di ri- cordare) che il «Noi» si riduca a un’etichetta dietro la quale agisce indisturbato l’«Io». In particolare, sulla ge- stione dei beni confiscati, circolano falsità assortite. Per cui conviene fissare alcuni punti: ● «Libera» non gestisce terreni confiscati: la ge- stione è affidata a realtà che aderiscono a «Libera terra», ma come soggetti autonomi d’impresa so- ciale; ● sono soltanto 5 in tutta Italia i beni gestiti da «Li- bera», utilizzati come sedi locali dell’associazione; ● «Libera» non riceve contributi pubblici per gestire beni confiscati, ma solo per attività statutarie di for- mazione, studio e ricerca; 32 MC MAGGIO 2016 © European Union 2014 - European Parliament © StampoAntimafioso it Della legalità e della giustizia
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