Missioni Consolata - Maggio 2016
IL PAESEDELLAMAFIA E DELL’ANTIMAFIA Il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Questo è l’obiettivo della legge 109 del marzo 1996. Una legge nata da una bestemmia: «la mafia dà lavoro». Quella norma fu promossa da «Libera», l’organizzazione fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti per lottare contro tutte le mafie. E che oggi, a 20 anni di distanza, è ancora in prima linea, a dispetto di chi la vorrebbe delegittimare. Della legalità e della giustizia La rubrica di Gian Carlo Caselli L’ Italia ha gravi problemi di mafia. Ma possiamo orgogliosamente dire di essere pure il paese dell’antimafia. Non solo per il prezzo che ab- biamo pagato con un numero infinito di vittime innocenti. Non solo per l’efficace legislazione che ci siamo dati (sostanzialmente fatta propria da una Con- venzione Onu del dicembre 2000 sottoscritta da tutti gli stati del mondo, la Convenzione di Palermo). Non solo per l’organizzazione del contrasto (non a caso Eurojust, l’embrione della futura procura europea, è modulato sulla nostra «Procura nazionale antimafia»). Ma anche per quel fiore all’occhiello - ovunque studiato - che è la pratica dell’antimafia sociale o dei diritti: quella che paga in termini di lavoro e recupero di dignità; che ma- terializza la legalità come vantaggio; che si affianca al- l’antimafia della repressione e della cultura, creando così un triplice fronte di contrasto, ben più effi- cace della semplice «delega» a forze dell’or- dine e magistratura. Non «baciamo le mani» L’antimafia sociale o dei diritti nasce con la legge 7 marzo 1996 n. 109 sulla ge- stione e destinazione dei beni confiscati ai mafiosi. Una legge che ha compiuto da poco vent’anni e ha segnato una svolta decisiva nell’ordinamento italiano. Un capolavoro ideato da Luigi Ciotti ragionando su una bestemmia (strano per un prete, ma vero). La bestem- mia che «la mafia dà lavoro». Falso, eppure tanti ci cre- devano. Non solo grazie alla black-propaganda (informa- zioni false prodotte da un soggetto coinvolto, ndr ). So- prattutto perché, un tempo, i beni tolti ai mafiosi cessa- vano di essere «produttivi». Erano irreversibilmente condannati a coprirsi di ruggine e ragnatele. Per cui il mafioso espropriato aveva buon gioco a dire in giro: «Ecco, quando il bene era mio, produceva ricchezza so- prattutto per me, è vero; ma qualcosa c’era anche per voi altri che ora restate a secco. Dunque, fatevi i conti: meglio prima o adesso?». Il ragionamento (ancorché i mafiosi lasciassero agli altri solo briciole, tanto per tenerseli buoni) aveva una certa presa. Ed era facile, allora, che i cittadini scegliessero di allearsi non con lo stato ma con la mafia, quanto meno mediante un comportamento omertoso di accettazione rassegnata. La restituzione del «mal-tolto» La situazione viene ribaltata con la citata legge 109/96: i beni confiscati ai mafiosi sono destinati ad attività socialmente utili. Cioè restituiti alla collettività cui la mafia li ha rapinati, così che la collettività possa
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