Missioni Consolata - Maggio 2016

MONDO 28 MC MAGGIO 2016 dese Svante Arrhenius. Sono però dovuti passare decenni perché il tema diventasse politico, e fosse discusso per la prima volta in una riunione governativa a Villacco, Austria, nel 1985, e poi nei rap- porti dell’Ipcc (Gruppo intergover- nativo sul Cambio Climatico), e in infinite pubblicazioni accademi- che. Ci si ricorderà forse del botta e risposta tra gli ambasciatori di Usa e Bolivia a Copenaghen nel 2009. Lo statunitense Todd Stern, mentre riconosceva il pesante ruolo storico del suo paese nelle emissioni di gas serra, rifiutava l’obbligo di compensarle e negava l’esistenza di un debito. Pablo Solon, allora, gli ricordò che i ghiacciai boliviani si stavano sciogliendo riducendo le fonti d’acqua del suo paese, e gli chiese chi, secondo lui, dovesse far fronte al problema. Dopo di che gli fece notare che in quella sede non si stavano additando colpevoli, ma attribuendo re- sponsabilità. Il gruppo di ricerca dell’Ejatlas, con la collaborazione del collega svedese Rikard Warlenius, ha pubblicato una mappa tematica del «debito climatico» ( vedi in questa pagina in alto ). In essa si evidenzia la responsabilità di una parte di mondo nel totale delle emissioni globali. La stessa parte che oggi si rifiuta di prendere im- pegni vincolanti. E quando par- liamo di «paesi» ci riferiamo sì alla popolazione media, ma an- che e soprattutto all’élite bene- stante, alle imprese di quelle zone di mondo in cui i benefici della ricchezza si concentrano. La tecnologia ci salverà? Ma perché l’accordo di Parigi è stato accolto come un successo dai politici e dal settore del busi- ness e da altri no? Cos’ha di tanto sbagliato? E, infine, è proprio tutto da buttare? Il documento in effetti racco- manda di rimanere «ben al di sotto dei 2 gradi Celsius» di au- mento della temperatura, e aspira persino a raggiungere la soglia di 1,5. E questo è da acco- gliere come un successo. Tutta- via, le modalità che suggerisce per raggiungere tale obiettivo prevedono ancora quei meccani- smi di mercato di cui si è parlato sopra, o strumenti altamente tec- nologici capaci di rimuovere dal- l’atmosfera l’anidride carbonica di troppo. Ma su quest’ultimo punto ci domandiamo se davvero si voglia far fronte alla crisi clima- tica appellandoci a una tecnolo- gia (probabilmente energivora) che deve ancora essere testata. Non sarebbe meglio un ripensa- mento radicale del cammino fatto finora? Secondo Kevin Anderson del Tyn- dall Centre, un centro di ricerca inglese sui cambiamenti climatici, «se vogliamo essere seri sul tema del cambio climatico, il 10% della popolazione globale responsabile per il 50% delle emissioni totali deve tagliare in modo drastico il suo consumo di energia». Molti dubbi sull’accordo Per aggiungere ulteriori dubbi sull’accordo raggiunto, possiamo ancora chiederci, come fa l’anali- sta uruguayano Gerardo Honty, perché le imprese del petrolio e le grandi multinazionali hanno applaudito alla sua firma. Sicura- mente vi hanno visto una garan- zia per la civiltà dei combustibili fossili: nulla viene messo in dub- bio, nessun cambio radicale in vi- sta. Il che viene anche confer- mato dal consenso di paesi grandi consumatori dell’oro nero, come Cina e Stati Uniti. Naomi Klein, autrice di ricerche e pubblicazioni importanti su po- tere corporativo e ambiente, nel suo ultimo libro This Changes Everything , ha fatto notare che termini come «combustibili fos- sili», «petrolio», «carbone» non appaiono nel testo finale dell’ac- cordo di Parigi, né tantomeno concetti come «debito clima- tico». È preoccupante, poi, la can- cellazione di riferimenti ai Diritti umani e alle popolazioni indi- gene, se non nel timido pream- bolo. E come se non bastasse, ci vorrà un bel po’ di tempo perché questo accordo possa entrare in vigore, forse appena nel 2020. Ci troviamo dunque tra le mani un testo che non affronta le que- stioni chiave, che non mette in di- scussione i meccanismi di ingiu- stizia che favoriscono l’accumula- zione di capitale, gli accordi com- merciali che aumentano da un lato la ricchezza estrema e dall’al- tro la povertà e la violenza. La crescita economica perseguita at- traverso estrazione di risorse, produzione e consumo continua a essere indicata come la via per raggiungere lo sviluppo. Un reto- rico appello allo spirito di coope- razione e solidarietà internazio-

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