Missioni Consolata - Maggio 2016
• Giustizia ambientale | Cambio climatico | Accordo di Parigi • MC ARTICOLI MAGGIO 2016 MC 27 cosa fare e da parte di chi. Che il mercato sia l’attore più oppor- tuno ed efficiente per gestire la crisi climatica è già di per sé di- scutibile; quando poi si giunge persino a un mercato finanziariz- zato del clima (come nel caso dei Redd, appunto), dei diritti d’emis- sione e consumo, la situazione giunge all’assurdo. Il debito climatico Tuttavia, dopo l’evidente falli- mento di Copenaghen e le non de- cisioni prese nelle successive riu- nioni, c’è chi ha applaudito l’ac- cordo approvato a Parigi lo scorso 12 dicembre: dalle imprese tran- snazionali al segretario generale delle Nazioni unite, al delegato Usa John Kerry, a vari ministri francesi fino ai nostri presidente del Consiglio e ministro dell’Am- biente. Secondo questi ultimi, nel- l’Accordo di Parigi l’Italia è stata protagonista, e gli italiani possono essere soddisfatti perché «siamo nella storia». Il ministro Galletti sembra tuttavia parlare di una sto- ria futura, ideale e con tanti «se», mentre pare non prendere in con- siderazione la storia già avvenuta, quella che ha visto i paesi di vec- chia industrializzazione accumu- lare un debito ecologico e clima- tico nei confronti del resto del mondo. La giustizia climatica, che ogni accordo sul clima dovrebbe avere come obiettivo, non può esi- mersi dal fare i conti con il tema del debito climatico. L’effetto serra è un processo che si conosce dalla fine dell’800, soprattutto grazie al lavoro del chimico sve- zati a ridurre, nel periodo 2008- 2012, le emissioni di gas serra in misura non inferiore al 5% ri- spetto a quelle del 1990. Con l’ac- cordo di Doha del dicembre 2012 l’estensione del protocollo si sa- rebbe prolungata fino al 2020. Nel 2009 la Conferenza delle Parti di Copenaghen partorì quello che venne poi chiamato un non ac- cordo, che ribadiva l’impegno di mantenere l’aumento della tem- peratura sotto i 2 gradi Celsius di media a livello globale ma che fa- ceva sparire impegni concreti nella riduzione delle emissioni. Il mondo è cambiato Nel 2010, nel momento dell’ap- provazione del secondo periodo di implementazione, il Protocollo vide l’abbandono di Russia, Giap- pone, Nuova Zelanda e del Ca- nada, che rifiutavano, un’altra Date rilevanti 1992. Conferenza di Rio. 1995. Cop1 a Berlino. 1997. Cop3 a Kioto (Protocollo di Kioto). 2001. Gli Usa escono dal Proto- collo di Kioto. 2005. Il Protocollo di Kioto en- tra in vigore grazie alla ratifica di diversi paesi. 2009. Cop15 a Copenhagen. 2010. Russia, Giappone, Nuova Zelanda e Canada escono dal Protocollo. Si vuole ri- chiedere impegno anche alle nuove potenze econo- miche (come India e Cina) non vincolate da Kioto. 2012. Accordo di Doha estende il Protocollo fino al 2020. 2015. Cop21 a Parigi. Luka Tomac - Friends of the Earth International/Flickr.com volta, «impegni vincolanti». In ef- fetti, il mondo che si era incon- trato nel 1992 e aveva poi fir- mato il protocollo a Kyoto nel 1997, nel frattempo, era molto cambiato. Alla fine del 2015, a Pa- rigi, alcuni paesi come Cina, India e Brasile che a Kyoto erano stati inseriti un una lista conosciuta come Non Annex 1 (e chiamati «paesi in via di sviluppo»), si sono presentati come potenze mon- diali indiscusse a livello econo- mico, produttivo e di potere poli- tico. A questi paesi, Kyoto non aveva assegnato vincoli di ridu- zione di emissioni, mentre ai paesi industrializzati dell’ Annex 1 sì. Con il passare degli anni, i vec- chi paesi industrializzati come gli Usa hanno cominciato a richie- dere impegni di riduzione anche ai nuovi paesi industrializzati. E i criteri coi quali definire «respon- sabilità» e «capacità» dei vari paesi di adottare tali impegni a nome di una solidarietà interna- zionale, sono divenute il nodo gordiano delle negoziazioni. Il mercato delle emissioni Questa è la principale (pesante) eredità ricevuta dalla Cop21 di Parigi, che si aggiunge a molte al- tre questioni spinose sui meccani- smi di implementazione dell’ac- cordo. La società civile e accade- mica, le comunità indigene, cam- pesine, i piccoli agricoltori, etc. hanno criticato pesantemente strumenti come i Meccanismi di sviluppo pulito, o il Redd 2 , che hanno messo nelle mani del mer- cato la possibilità di decidere
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