Missioni Consolata - Aprile 2016

attacchino e, se possibile, uccidano gli avversari. Abbiamo chiesto a Jorge González Méndez, coor- dinatore dell’area Studio e ricerca dell’Unità di Giustizia minorile della Corte Suprema di Giusti- zia di El Salvador, quale sia il codice di comporta- mento vigente all’interno delle pandillas . La sua risposta non ammette mezze misure: «Semplice- mente vivere e morire per la banda. Una volta che la persona è accettata all’interno della pandilla , uscirne è estremamente difficile, se non impossi- bile. L’adesione e la fedeltà al gruppo devono es- sere totali. Non bisogna inoltre dimenticare che la pandilla , per molti ragazzi, sostituisce la famiglia: è l’unico ambiente in cui trovano solidarietà, mu- tuo aiuto, protezione, senso di appartenenza e le- game con un territorio». Valentina Valfré, project manager di Soleterre Onlus , con l’amarezza di chi ha visto le bande inghiottire alcuni ragazzini inse- riti nei progetti dell’Ong commenta: «È facile re- clutare adolescenti che non hanno famiglia o che vivono una situazione di grave marginalità [...]. Abbandonare la banda significa condannarsi a morte: se non ti uccidono i tuoi compagni lo fa- ranno quelli della banda avversaria». La banda come famiglia Quali sono le ragioni che spingono verso la pan- dilla ? In El Salvador, Honduras e Guatemala l’in- giustizia strutturale, che fu tra le principali cause delle guerre civili, è ancora lontana dall’essere sa- nata. Periferie urbane fatte di baracche, flagellate dalle calamità naturali e prive dei servizi indi- spensabili, e campagne poverissime e arretrate, con strade impraticabili, fanno da contraltare a quartieri lussuosi, centri commerciali luccicanti, auto di grossa cilindrata e resort esclusivi. La po- vertà, l’elevato tasso di disoccupazione, le diffi- coltà nell’accesso all’istruzione superiore (basti pensare che in El Salvador vi è una sola università pubblica, con tre sedi, a fronte di decine di univer- sità private, troppo costose per i figli dei campesi- nos ), gli elevatissimi livelli di violenza intrafami- liare, l’ingente numero di gravidanze precoci e di madri che crescono i figli da sole, senza un com- pagno (situazioni dovute anche alla perdurante cultura machista), costituiscono l’incubatrice so- ciale del fenomeno delle bande e della loro escala- tion violenta. La cliqua , cioè il sottogruppo locale che fa capo alla grande pandilla , diventa la nuova famiglia, capace di rispondere al profondo biso- gno di appartenenza, identità e protezione pro- prio di ogni persona, soprattutto se adolescente. Reclutamento forzato Non tutti i pandilleros però si avvicinano sponta- neamente alle bande, spinti dal fascino della vida loca e dai bisogni materiali e sociali. Uno degli aspetti più drammatici del fenomeno riguarda il reclutamento forzato di bambini e adolescenti, che costringe interi nuclei familiari a spostamenti all’interno del paese o a migrare all’estero, nel tentativo di proteggere i propri figli. Un elemento estremamente interessante della vida pandilleril riguarda i tatuaggi: fin dall’epoca statunitense, le pandillas ricorrono ai disegni sulla pelle per suggellare l’appartenenza alla banda. Jorge González spiega: «I tatuaggi indi- cano l’appartenenza alla pandilla , e solo coloro che hanno superato il rito di iniziazione della banda possono utilizzarli. Ogni banda ha i suoi simboli e i suoi disegni. In passato, il viso e il petto tatuati indicavano che la persona aveva conse- guito particolari meriti all’interno del gruppo. Oggi - spiega González - la pratica dei tatuaggi sta diminuendo, in quanto i pandilleros hanno un maggiore bisogno di passare inosservati». Infatti, da quando l’appartenenza stessa a una banda può portare all’arresto, i poliziotti e i militari sono so- OEA / SMS Arena Ortega/Flickr.com

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