Missioni Consolata - Aprile 2016

Nuovo concetto di «proprietà» Il concetto di «popolo eletto» come «proprietà [di Dio] fra tutti i popoli» (Es 19,5), diventa una chiave teologica con la quale s’interpreta pre- sente, passato e futuro. Tra il VI e il IV secolo in Babilonia e a Gerusa- lemme nasce un labora- torio in cui tutto si rin- nova. Dalla storia pas- sata, che viene riletta e ingigantita, nasce l’isti- tuto del «sabato» come cuore della vita d’Israele e del culto, in sostitu- zione dei sacrifici; si crea il canone della Bibbia (in- torno al 444 a.C.) nella forma dell’attuale Penta- teuco (Genesi, Esodo, Le- vitico, Numeri e Deutero- nomio). E la storia «sa- cra», essendo «scritta», diventa «Sacra Scrittura», cioè testo normativo e immutabile della volontà di Dio. Per dare «peso» alla« ricostruzione del futuro», fondato sulla religione e sull’appartenenza al «po- polo eletto», tutto è ripensato e riformulato: i riti e i culti, la circoncisione, il sabato, le leggi di purità, i sacrifici, la Pasqua, il calendario e l’uso della terra. Tutto è proiettato «alle origini», trasformando una normale storia di tribù, spesso banale, in una grande epopea, una saga di natura «storica» rivisi- tata come in un fantasmagorico «kolossal» proiet- tato nella notte dei tempi. Esso legge la storia con- temporanea (ritorno dall’esilio) come un processo che parte dall’iniziativa di Dio sul Sinai, e prima an- cora dalla liberazione dalla schiavitù d’Egitto (asso- nanza con la schiavitù in Babilonia). Nel primo racconto della creazione (Gen 1), scritto in ambienti sacerdotali, si afferma con chiarezza che nell’atto di creare Adamo ed Eva, Dio stesso li pose nel «giardino di Eden perché gli ubbidissero e lo custodissero» (Gen 2,15). Si ribalta il concetto di «proprietà»: non è l’uomo proprietario della terra, ma è la terra che indica come deve essere ascoltata e custodita. L’uomo diventa il custode, il servo del creato sul quale solo Dio esercita la sua autorità, mediata certamente dall’uomo che è «immagine di Dio» (Gen 1,27). Lo stesso concetto di «sottomet- tere la terra» (Gen 1,28) non è assoluto, perché è connesso alla luogotenenza esercitata da Adamo in nome di Dio di cui è plenipotenziario e da cui di- pende. È Dio che controlla il comportamento del- l’uomo. L’esodo però è la risposta alla promessa fatta ai Pa- triarchi, che a loro volta sono l’esito della fedeltà che è il contrario della ribellione di Adamo ed Eva che a loro volta erano stati i protagonisti e i si- gnori della creazione re- galata loro da Dio come premessa e promessa della terra d’Israele, la terra dell’Alleanza e del tempio del Signore. Il raccordo tra i Patriarchi e la terra d’Israele è la fi- gura di Mosè che ha il compito di dare compi- mento alla volontà di Dio. Mettendo l’istituto dell’anno sabatico tra le norme di Esodo e Levi- tico, facendolo risalire addirittura a Mosè, i re- dattori del Pentateuco stabiliscono il criterio «teologico» per risol- vere il contenzioso sorto tra residenti e rimpa- triati dall’esilio sul pos- sesso della terra. Nei libri di Levitico s’in- seriscono le regole che riguardano il Giubileo, dando loro il valore di una norma antica prove- niente direttamente da Dio, in base al principio, for- mulato in questo periodo, che la terra d’Israele è «esclusiva proprietà di Dio». Se la terra è di Dio nes- suno può avanzare diritti e ciascuno deve avere la coscienza di essere solo un usufruttuario tempora- neo. La terra di Palestina è per Israele «terra pro- messa» ai patriarchi, quindi terra di ospitalità su cui nessuno può avanzare diritti. IL NOME «GIUBILEO» In ebraico l’anno giubilare si chiama «Shenàt jòbel» che tradotto alla lettera significa «Anno dell’Ariete» perché l’inizio e la fine dell’anno giubilare erano an- nunciati dal suono del «qéren jobèl - corno di ariete» che richiama uno degli eventi più importanti della Toràh e successivamente della tradizione giu- daica: il sacrificio di Isacco sul monte Moria (Gen 18,1-19). Poiché il racconto è conosciuto, non ci at- tardiamo su di esso, ma rileviamo solo gli elementi che interessano il nostro discorso sul «Giubileo». Dio chiede ad Abramo di sacrificargli il figlio unige- nito. Abramo, uomo dalla fede indiscussa, non mette in dubbio l’intenzione di Dio e ubbidisce, per- ché Dio sa quello che fa, e si appresta a sacrificare il figlio, sebbene il suo cuore sanguini e le sue lacrime si mescolino a quelle del figlio. Secondo la tradi- zione giudaica, Isacco incoraggia il padre Abramo a ucciderlo rispettando tutte le regole prescritte per i sacrifici offerti a Dio per non rendere invalida, an- che involontariamente, l’offerta della sua vita. Abramo quindi supplica Dio, in nome della fede di Isacco, che ha accettato liberamente l’ aqedàh -lega- tura alla legna del sacrificio, che in futuro, quando i suoi discendenti, pregando, chiederanno qualunque APRILE 2016 MC 33 MC RUBRICHE © AFP / Osservatore Romano

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