Missioni Consolata - Marzo 2016
parroco a Maria Regina delle Missioni (Torino), mi dissi: “Vecchio mio, ormai il cerchio della tua vita si chiude”. Sennonché nel 2010 padre Ste- fano Camerlengo, all’epoca vice superiore gene- rale, mi disse: “Vuoi tornare in Tanzania?”. Così fu. Ma con timore e tremore, perché in Tan- zania ritornavo dopo 35 anni di assenza e con 68 estati sulla groppa». Due parole sul Tanzania in cui ti trovi oggi. «Contrariamente a quanto si riteneva negli anni 70-80, il Tanzania non è affatto un paese povero. Le risorse del suolo (prodotti agricoli) e del sot- tosuolo (minerali) sono ingenti. Per non parlare dell’‘oro blu’ dei laghi Victoria e Tanganyika. Né si scordi che il paese è il più accattivante giardino zoologico del mondo, con i parchi di Serengeti, Selous, Ruaha. Ma... guai se “scorni” i rinoceronti, per ricavare afrodisiaci, o mozzi le zanne degli elefanti per farne chincaglie! È mai possibile che il Tanzania nel 2005, secondo Environmental Investigation Agency , contasse 142mila elefanti, mentre oggi sono 50mila? Ne massacrano 30 al giorno. Inoltre c’è il problema mastodontico della corru- zione». E le sfide missionarie? «La sfida più acuta è culturale. È la sfida per cui un africano segue sia la reli- gione tradizionale (paganesimo) sia la religione cristiana. Il Secondo Sinodo dei Vescovi africani, del 2009, parla di “una doppia affiliazione” religiosa (cfr. Africa’s Commitment , 93). Il cardinale Polycarp Pengo, di Dar Es Salaam, mi disse: molti cristiani vivono se- condo “la fede di un tempo”, non la fede cristiana. Spesso, in una malattia, nume- rosi fedeli lasciano da parte il Dio di Gesù Cristo per ri- volgersi al “guari- tore tradizionale” ed anche allo stre- gone. 74 amico MARZO 2016 Parole di corsa di Luca Lorusso Non lasciatevi prendere per i fondelli «S ono nato a Falzé di Trevignano (Tv) il 23 giugno 1943. Mio padre non c’era: era in Sardegna, prigioniero degli inglesi durante la seconda guerra mondiale. Ritornato a casa alla fine del 1945, ebbe la sorpresa di tro- vare un marmocchio di due anni, di cui non sa- peva nulla. Siamo tre fratelli: Bepi, il maggiore, sposato con famiglia, Luciano, il minore, missio- nario francescano in Brasile, ed io, Francesco». Perché hai deciso di diventare missionario e, soprattutto, perché della Consolata? «Fuori casa mi comportavo bene, ma dentro ero molto estroverso. E mia madre non me le rispar- miava: “Così non va - mi ripeteva tra le lacrime -. Ma, se ti correggerai, potrai essere la consola- zione di tante persone”. La parola “consola- zione” me la sono portata nel cuore fino a diven- tare missionario della Consolata». Racconta la tua storia missionaria. «Sono entrato dai missionari della Consolata nel 1954, a Biadene (Tv), con la clausola “ma io non voglio diventare prete”. Con il trascorrere degli anni ho mutato idea, ma senza alcun “lavaggio del cervello”. Nel 1964 emisi i voti di povertà, castità e obbe- dienza, e nel 1970 fui ordinato prete a Falzé. Dal ’64 al ’71 studiai filosofia e teologia a Roma. Nel 1968, mentre studiavo teologia alla Gre- goriana, venni espulso dall’università, per- ché avevo organizzato uno sciopero contro “i metodi di insegnamento”. Però l’espul- sione non mi fu mai comunicata ufficial- mente. Così potei terminare gli studi e conseguire la licenza in teologia. Nel 1973 eccomi in Tanzania, an- che per... “sbollire le mie idee calde”. Ma nel ’76 venni chia- mato a Torino per redigere la rivista Missioni Consolata, dopo la laurea in Scienze Politiche. Vi restai fino al 2002. Fra i miei amici gior- nalisti, uno campeggia in modo speciale: padre Be- nedetto Bellesi, deceduto nel 2014. Quando nel 2005 divenni © AfMC/Francesco Bernardi
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