Missioni Consolata - Marzo 2016
neato che lo studio Soas prende in considerazione solo due paesi fornendo perciò una lettura par- ziale. Quanto alle certificazioni, il sistema rappresentato da Agices si basa sulla relazione tra organiz- zazioni nel Nord e nel Sud del mondo, «il cui lavoro è reciproca- mente garantito», più che sulla certificazione. Quasi un secondo lavoro Si potrebbero fare molti altri esempi, non solo relativi al cibo, di come le nostre scelte di con- sumo pesano sui luoghi e le per- sone nel Sud del mondo che hanno prodotto ciò che consu- miamo. Come si fa a orientarsi? Difficile sottoscrivere senza ri- fosse anch’essa un bene di con- sumo che si compra insieme alle banane. Secondo i critici del fair trade , insomma, il cibo soddisfa un bisogno fisico, il fatto che il cibo sia «etico» soddisfa un biso- gno morale, ma entrambe le cose sono, in definitiva, merce. La risposta di Agices, l’Assemblea generale italiana del commercio equo e solidale, non si è fatta at- tendere: il presidente Alessandro Franceschini ha ammesso che, in effetti, su «15 milioni di euro di importazioni da produttori di commercio equo da parte delle organizzazioni nostre socie, solo l’11% arriva dal continente afri- cano». E che «c’è ancora molto da lavorare». Ma ha anche sottoli- serve affermazioni come: se com- pri prodotti fair trade , se fai ac- quisti a chilometro zero, allora sei sicuro di non far danni. E questa forse è una prima indicazione: aderire una volta per tutte, in ma- niera fideistica, a una linea di con- sumo critico è... acritico. Per informarci su quel che consu- miamo ci sono strumenti come il sito promosso dalla Ong Oxfam Scopri il Marchio che, per ogni prodotto selezionato, mostra una valutazione della multinazionale produttrice basata sul tratta- mento dei lavoratori, sul rispetto del diritto alla terra, sull’atten- zione per l’ambiente. Altro stru- mento è il rapporto diretto e fidu- ciario con chi vende, un rapporto che la Grande distribuzione orga- nizzata (Gdo) ha indebolito ma che ci permetterebbe di ottenere informazioni e chiedere conto della provenienza di quel che ac- quistiamo. Inutile illudersi: tutto questo si scontra con i colossi della Gdo e della grande produzione, con le loro efficientissime macchine di marketing che remano nella dire- zione opposta, e trovare le infor- mazioni per contrastare questi fe- nomeni richiede tempo, a volte così tanto che sembra quasi un secondo lavoro. E, naturalmente, il presupposto è che fare questa operazione di co- noscenza ci interessi: il genitore che fa la spesa di corsa e probabil- mente con un limite di spesa pre- ciso spesso non ha né tempo né voglia di approfondire e compra quel che è più conveniente. Ma il prezzo di questo apparente ri- sparmio di tempo e denaro è piut- tosto salato: significa rinunciare in partenza a tentare di scegliere non solo quello che mettiamo nel carrello, ma anche quali salari avremo domani se il mercato mondiale ci impone di renderli competitivi con il quelli bassi del Sud del mondo, o quanti migranti economici e ambientali busse- ranno ancora alle porte dell’Eu- ropa perché i loro paesi sono stati devastati da cambiamento clima- tico, monocolture su grande scala, estrazione mineraria selvaggia. Chiara Giovetti Cooperando… 68 MC MARZO 2016
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