Missioni Consolata - Marzo 2016

movimento neosalafita creato nel 1928 in Egitto, e da altri. Il jihad divenne, nel corso degli anni, un obbligo, il sesto «pilastro dell’Islam» da aggiun- gere ai cinque tradizionali: professione di fede, preghiera, digiuno nel mese di Ramadan, pellegri- naggio alla Mecca ed elemosina. I gruppi del neofondamentalismo - sviluppatosi a partire dagli anni ‘80, di cui al-Qaida è una delle or- ganizzazioni più note e a cui si aggiunge, oggi, an- che l’Is -, che fanno del jihad un obbligo individuale vengono chiamati, appunto, jihadisti. Tuttavia, come afferma Roy, la maggior parte dei conflitti definiti «religiosi» sono, in realtà, «etnico- nazionali», e in vari casi, non ultimi quelli in Iraq e in Siria, il jihad viene strumentalizzato dai neofon- damentalisti così come dai governi occidentali, i quali esagerano la dimensione islamica per que- stioni di politica interna o estera. Spesso la violenza «islamica» è, in realtà, antimperialista e antiameri- cana (e antisionista). Sono, come spiega Roy, «i po- stumi della decolonizzazione». I mezzi utilizzati dai jihadisti - ad esempio gli atten- tati suicidi - sono considerati antislamici dalla tra- dizione ortodossa, e sono un’introduzione moderna mutuata da altre tradizioni e dalle lotte secolari di movimenti e gruppi nazionalisti. I militanti di al- Qaida, come quelli dell’Is, hanno tagliato i contatti con la famiglia di origine e con la propria patria (elementi anche questi in totale contrasto con la tradizione sociale e culturale dei paesi islamici), e sono molto criticati anche per questo dai musul- mani tradizionalisti. Molti combattenti jihadisti, in- fatti, come dicevamo, si sono reislamizzati in Occi- dente o in paesi considerati «laici», come la Tunisia (da dove arriva la maggior parte degli aderenti ai gruppi del jihad uniti all’Is o alle reti di al-Qaida). Qui l’Islam è individuale, «fai da te», costruito at- traverso i sermoni ascoltati in certe tv o siti inter- net, prodotti da predicatori improvvisati e con scarsi studi alle spalle. «Questi neofondamentalisti - scrive Roy - non riconoscono alcun maestro nel- l’Islam e, del resto, conducono spesso una vita molto poco conforme ai precetti della religione. [...] È impressionante la continuità dell’azione di Bin MARZO 2016 MC 47 proclami antiterrorismo, ma che in passato, per anni hanno giocato con i terroristi alle alleanze tattiche, colla- borando con la Nato e al-Qaida in Libia, e con chiunque altro pur di destituire il regime odiato di turno. Anche questa superficialità, ignoranza o convenienza politica è un tragico segnale dei tempi orwelliani in cui viviamo: il male è bene, il guerrafondaio è pacifista, la bandiera nera diviene quella arcobaleno. Tale superficialità o connivenza, crediamo, fa parte del ri- siko internazionale, anche perché, altrimentri, vie certe per tagliare la strada al terrorismo dell’Is si potrebbero imboccare immediatamente. Ad esempio, smettere di: 1) fare o appoggiare guerre in Africa e Medio Oriente; 2) appoggiare regimi corrotti; 3) appoggiare tutte le violazioni israeliane che lasciano nella disperazione e nella rabbia i Palestinesi, ma anche i popoli arabi e musulmani; 4) «manovrare» o boicottare le scelte politiche di intere popolazioni; 5) fomentare storiche divisioni settarie (sunniti vs sciiti; cristiani vs musulmani, ecc.) o «tribali»; 6) finanziare, addestrare e rifornire i gruppi qaedisti o ad- dirittura l’Is; 7) comprare il petrolio dall’Is; 8) fare affari con stati arabi del Golfo notoriamente so- stenitori dei movimenti jihadisti (Arabia Saudita in pri- mis). E avviare politiche che offrano un presente e un futuro dignitoso a generazioni di giovani europei, musulmani e non. I nvece la risposta agli attentati è sempre la solita: bombe e ancora bombe, repressione e islamofobia. Cioè, tutto ciò che alimenta odio e altri conflitti, e una sempre maggiore separazione tra «noi» e «loro». Sono politiche talmente folli e insensate che a molti os- servatori e studiosi sorgono dubbi: il terrorismo «isla- mico» è funzionale a uno stato di «guerra permamente» attraverso la quale perpetrare all’infinito un colonialismo di rapina in Africa e Medio Oriente, e a tenere «buone» le popolazioni europee in questi anni di crisi economica e impoverimento collettivo? Si tratterebbe di una strategia della tensione non molto dissimile da quella in cui alcuni stati europei, Italia com- presa, vissero per un paio di decenni, dagli anni ’70 in poi. La guerra (endemica) è funzionale alla sopravvivenza del- l’Impero (qui inteso come governance globale, la globaliz- zazione all’interno delle cui maglie ogni realtà econo- mica, politica e sociale deve trovare la sua collocazione) per reprimere i sommovimenti di contestazione interni. E una guerra globale è ciò che ci vuole per smuovere l’e- conomia, usare le armi immagazzinate, produrne di nuove, investire nel lucroso mercato della «sicurezza», impadronirsi di altre risorse naturali, regolare l’eccesso di popolazione, terrorizzare gli europei e gli «occidentali» in genere e spazzare via ciò che rimane dei «diritti». Una volta il nemico, cioè lo spauracchio, era il comunismo, ora è l’Islam. Angela Lano © AFP_Giuseppe Ciccia/NurPhoto In alto : gruppo di combattenti jihadisti. | Qui a sinistra : membri della comunità musulmana prendono parte alla manifesta- zione nazionale «Not in my name» a Roma contro il terrori- smo in risposta al massacro di Parigi del 13 novembre. DOSSIER MC IS 2

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