Missioni Consolata - Marzo 2016
46 MC MARZO 2016 dentità specifica, in contrapposizione e antagonismo con quella dei «miscre- denti». La reislamizzazione, la «rina- scita» di molti musulmani (spesso laici nel paese d’origine) non è solo un feno- meno identitario, ma anche un processo di occidentalizzazione che, giocoforza, è un lasciare dietro di sé la propria cultura d’origine e le tradizioni. Il jihad, sesto «pilasto» dell’Islam radicale La modernità emerge in modo partico- lare nel rapporto tra l’Islam radicale e l’uso della violenza. Si tratta, come spiegano i musulmani tradizionalisti, di una innovazione, o bid’a , dunque un paradosso per i fondamentalisti. Questa inno- vazione si esplicita, per esempio, nel concetto di jihad (qui nel suo significato di sforzo minore, cioè militare), manipolato dall’ideologia wahhabita neosalafita, che diviene una priorità, trasforman- dosi in una obbligazione dell’individuo, fard al- ’ayn , e, in questo modo, è imposta a ciascun mu- sulmano, in qualsiasi momento, mentre nella tra- dizione ortodossa è considerato, invece, un ob- bligo collettivo limitato nel tempo e nello spazio, e obbligatorio nelle situazione di minaccia, cioè quando il Dār al-Islām , il territorio islamico, è in pericolo. Tale innovazione, come sottolineano Roy e altri studiosi, fu introdotta da islamisti come Sayyed Qutb, teorico della Fratellanza Musulmana, un Il commento: sullemanifestazioni antiterrorismo «Debbono chiedere scusa»? V edere, dopo l’ennesimo attentato sanguinario, tutte quelle immagini di musulmani che manife- stano, si dissociano dal terrorismo, che depongono candele e fiori, vanno in tv a fare il bersaglio volontario di conduttori, giornalisti e altri ospiti che vogliono solo at- taccare e non informare, dà il senso dei tempi attuali. Si pretende che più di un miliardo e 600 milioni di esseri umani prendano le distanze da ciò che non hanno com- messo, dimostrino che l’Islam, una religione e civiltà mil- lenaria che molto contribuì allo sviluppo dell’Europa me- dioevale e rinascimentale, non si identifica con i «taglia- gole». Tutto ciò rappresenta solo un’ulteriore umilia- zione inferta ai musulmani, in Occidente come nel mondo islamico. È come se chiedessimo a miliardi di cri- stiani di dissociarsi dai secoli di massacri e dalle guerre coloniali europee o da quelle statunitensi in Afghanistan, Iraq, Somalia, Libia, ecc. È una richiesta che non ha alcun senso e genera odio e rivolta. Paradossalmente, alcuni di quei personaggi dell’Islam italiano che vanno in tv o vengono intervistati dai gior- nali, che partecipano a manifestazioni, fanno grandi di- chiarazioni di pacifismo, fino a un paio di anni fa brandi- vano (quando non vi si avvolgevano del tutto) le ban- diere delle «opposizioni» siriana e libica infiltrate da jiha- disti gravitanti nell’orbita di al-Qaida e da mercenari. Dalle moschee, ci raccontano alcuni amici musulmani e responsabili di piccole comunità, tuonavano prediche in- neggianti alla guerra contro Siria e Libia e al recluta- mento di musulmani di origine o convertiti da mandare a combattere. Tutti vedevano e sapevano, ma nessuno di- ceva nulla perché il piano europeo-statunitense-arabo era quello di far saltare i regimi libico e siriano. È solo dal 2014, dalla proclamazione del «califfato» del- l’Is, e dalla sequenza di attentati terroristici perpetrati qua e là nel mondo, che politici, media e cittadini hanno iniziato a preoccuparsi e a «scoprire» il problema del re- clutamento di jihadisti in Europa, e quello dei «jihadisti di ritorno», di coloro, cioè, che hanno combattuto in Libia, Siria, Iraq, e ritornano in Europa con un enorme know how di tecniche di guerra e guerriglia urbana, potenzial- mente utilizzabili - come abbiamo visto negli attacchi a Parigi - su territorio europeo. T uttavia, nonostante ci sia stato un brusco «risve- glio» alla realtà, certe istituzioni italiane cadono an- cora in «errori» a dir poco incredibili, dando credito a personaggi e gruppi che ora si mettono in mostra con © Dabiq 12
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