Missioni Consolata - Marzo 2016

34 MC MARZO 2016 Misericordia voglio role: quello che la terra produce nel settimo anno deve essere «lasciato cadere» cioè essere «pro- prietà» dei poveri e degli animali selvatici. Si afferma anche l’attenzione particolare che si deve al «fore- stiero» (ebraico «ghèr»; greco «prosêlytos»), citato due volte all’inizio e alla fine del testo di Esodo, quasi a volerne sottolineare l’importanza, perché gli stessi Ebrei che ritornavano o che erano nati a Babi- lonia erano dai residenti trattati come «forestieri». Ghèr: lo straniero inteGrato e residente tre termini si usano nella Bibbia ebraica per definire lo «straniero»: 1. Zar/ straniero oltre confine , con cui non si hanno rapporti. siccome «nemico» in ebraico si dice «zar» (stessa radice), qui straniero e nemico sono sinonimi. 2. nockrì/ straniero nomade . è lo straniero tempora- neo, quello che si ferma il tempo necessario per una sosta. è questa figura che diventa segno di dio «che passa» e mette alla prova. 3. Ghèr è lo straniero residente che è integrato e fa parte del popolo; costui è «straniero» solo di nascita (origine). egli è protetto giuridicamente e socialmente perché la sua presenza in terra d’israele richiama alla coscienza del popolo di dio di essere stato «straniero» in egitto, oppresso e molestato dal faraone: «non mo- lesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese di egitto» (es 22,20). in questo atteggiamento è già anticipata la radice del- l’amore del prossimo come sarà formulata dal libro del levitico per cui l’esperienza personale diventa misura dell’accoglienza dell’altro, posta anche come fonda- mento dell’identità di dio stesso: «amerai il prossimo tuo come te stesso: io-sono il signore» (lv 19,18) che Gesù assumerà come criterio centrale di tutta la legge e della morale del suo regno di dio: «ama il signore… ama il prossimo tuo» (lc 10,27). non più «due amori», uno per dio e uno per il prossimo, ma un unico amore a perdere senza chiedere in cambio nulla: «amerai il si- gnore tuo dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua vita e con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso [ ton plēsìon hōs seautôn »] (lc 10,27; cf Mc 12,30-31). Una legislazione «impossibile» da applicare Occorre domandarci, però, se una norma del genere fosse concretamente praticabile; se, infatti, si si fosse attuata in modo rigoroso, non solo si sarebbero fer- mate l’economia agricola e pastorale (senza nutri- mento, anche gli animali morirebbero), ma si sa- rebbe prodotto l’effetto di distruggere l’esistenza del popolo. Gli antichi popoli che circondavano Israele, con la terra avevano un rapporto di natura «sacrale», e il riposo settennale, tramandato nella memoria col- lettiva fin dalla notte dei tempi, poteva essere vis- suto come un atto religioso «di restituzione» alla di- vinità della sua proprietà: ogni sette anni si faceva ri- posare la terra per affermare che l’uomo non ha di- ritto assoluto sulla terra, ma possiede solo un usu- frutto. Tutto questo è un’ipotesi perché, nella Bibbia, solo dopo l’esilio comincia a fare capolino, mentre prima non v’è alcun testo che ne parli. Nei tempi antichi non esisteva un metodo di conci- mazione integrato come lo sperimentiamo oggi, per cui era necessario fare riposare la terra al fine di farle recuperare i sali e le sostanze necessarie alla coltivazione. È certo che gli Assiri e i Cananei (prima degli Israeliti), usassero sistemi di alternanza della coltivazione, per cui dove si coltivava orzo, l’anno successivo di seminavano legumi e così via. Non è strano pensare che durante l’esilio gli Ebrei ne aves- sero appreso l’uso insieme alle tecniche che al rien- tro dall’esilio introdussero in Israele. Il metodo delle coltivazioni a rotazione, cioè a raccolti alternati, s’impose e si perfezionò in vista dell’Anno Sabatico. La proprietà terriera venne divisa in sette lotti, rendendo non solo possibile l’attuazione del- l’Anno Sabatico, ma anche redditizia la programma- zione del riposo sabatico: ogni sette anni, solo un lotto restava incolto mentre gli altri sei erano coltivabili. In tempi di crisi In questo sistema socio-economico che si è sviluppò nei secoli, si aggiunse la teologia elaborata durante lo stesso periodo. I profeti del sec. VIII, prima dell’esilio, avevano centrato la loro predicazione sulla giustizia sociale come espressione compiuta della religiosità autentica. Basta leggere Isaia, Amos e Osea per ren- dersi conto degli strali che venivano lanciati contro le classi agiate che sfruttavano i poveri per capire che la condanna di Dio era assoluta perché non poteva darsi alcuna religione che non si facesse carico dei pro- blemi sociali che si affrontano solo nella «giustizia so- ciale», che oggi definiremmo con termine moderno «equa redistribuzione della ricchezza». La predicazione dei profeti fu ripresa durante l’esilio (II e III Isaia), dando sviluppo a quella teologia so- ciale che la casta sacerdotale codificò poi special- mente dopo l’esilio stesso. Durante l’esilio, il peri- colo della «secolarizzazione» era stato grande per- ché con la distruzione di Gerusalemme e del tempio, erano crollate tutte le certezze del popolo, si era ali- mentata la depressione psicologica, la religione non era più un rifugio consolatorio e per di più, in terra straniera, mancavano gli strumenti per coltivare la propria identità e la stessa appartenenza religiosa. Non c’era il tempio, non vi erano più i sacrifici, non vi era più il culto; mancava tutto ciò che dava senso e vita al popolo quando viveva nella terra promessa. Terra promessa? Davvero Dio aveva fatto pro- messe? Dov’è Dio? Chi è Dio? Nei tempi di crisi tutto si mette in discussione, anche le certezze che prima sembravano granitiche. Biso- gnava reagire, e ricostruire il cuore e la mentalità del popolo e non permettere che si rassegnasse alla di- sfatta. Compito della teologia sacerdotale era ricreare le condizioni per riorganizzare la religione non più at- torno al tempio, che non c’era più, e alle sue attività cultuali, ma attorno alla «Parola» che sostituiva il «Santuario». Nasceva a Babilonia la «Sinagoga», cioè la casa della convocazione dell’assemblea, che si riu- niva per leggere il proprio presente alla luce del pro- prio passato. Si ricostruirono le tradizioni e le s’inven- tarono anche, s’ingigantirono contenuti e portata di eventi passati che storicamente erano stati fatti ap- pena significativi come l’esodo, come le figure dei pa- triarchi Giacobbe, Isacco e Abramo, ma questo appar- tiene alla prossima puntata. Paolo Farinella, prete (5, continua)

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