Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016
tori di Save the Children sono «co- lonialisti a fin di bene»? Forse. Im- pegnarsi a contribuire ogni mese non è più il non informarsi per pi- grizia e il limitarsi a lavarsi la co- scienza per Natale. Però, forse, potrebbero fare un salto di qua- lità in più, che non riescono an- cora a fare perché nessuno ha for- nito loro le informazioni che per- metterebbero di tenere a bada le emozioni e di ragionare, come ri- corda il sociologo Fabrizio Floris, sul fatto che «la fame ha cause le- gate alla iniqua distribu- zione delle terre fertili, alla man- canza d’acqua, al cambiamento climatico, alle guerre, alle ditta- ture che usano gli aiuti in cambio di consenso, alla scarsa produtti- vità agricola e zootecnica: la pan- cia gonfia è l’effetto». Chi doveva fornire queste infor- mazioni se non le organizzazioni che lavorano sul campo e perché, dopo trent’anni di cooperazione, ancora questi temi faticano a uscire dal recinto degli addetti ai lavori? Mettere un limite normativo al- l’uso d’immagini è un modo per evitare di diffondere un messag- gio parziale e fuorviante. Trovare un modo efficace di diffondere un messaggio corretto, però, è un’al- tra storia. La mani aperte a pro- teggere i visi dagli obiettivi proba- bilmente servono anche a dire che è mancato questo. Chiara Giovetti Ma il problema sta nelle immagini? In attesa delle evoluzioni norma- tive che il tavolo di lavoro pro- porrà, vale comunque la pena di chiedersi se questa vicenda non sia il riflesso di un insuccesso che ha radici più lontane. Save the Children ha fatto sapere che la campagna ha permesso alla ong di «acquisire più di 14.000 nuovi donatori regolari». Il punto, allora, non è solo «il cliché dello scheletrino africano», il punto è che quel cliché funziona. I dona- darietà a vari livelli - hanno voglia di andare oltre le prime emozioni per approfondire e cambiare il pro- prio modo di vivere. Credo che il mondo missionario cerchi da anni di of- frire una comunicazione onesta sul Sud del mondo. Il risultato? Forse un frutto sono le centinaia (o mi- gliaia) di Ong (e le persone che in esse si impegnano non solo a dare qualcosa ma anche a camminare con...) che fanno una cooperazione diversa e respon- sabile. Perché altrimenti ci sarebbe da essere scorag- giati: le riviste missionarie sono drasticamente ridi- mensionate, i missionari sono una specie in via estin- zione, al volontario subentra il volonturista , le disu- guaglianze sociali sono aumentate ovunque - primo mondo compreso, c’è la «pornografia del dolore»… Immagini «pugno nello stomaco», gadget, acces- sori alla moda in regalo ai donatori: le Ong si sono adeguate a un approccio più tipico del pro- fit. E il profit, dal canto suo, si sta avvicinando, al- meno superficialmente, alla cooperazione allo sviluppo (vedi iniziative delle aziende, special- mente quelle più grandi, volte a farle apparire impegnate nel sociale). Come giudichi questa «contaminazione»? Mi confonde che Ong e onlus, ma anche noti santuari e Istituti di carità, si affidino ad agenzie specializzate nell’ e-commerce e fundraising , soprattutto in periodi ad alto impatto emotivo come il Natale. O dovrei con- solarmi con «il fine giustifica i mezzi»? Mi domando però cosa possa significare in questo contesto la frase di Gesù «semplici come colombe e scaltri come ser- penti». E non ho risposte certe. Conosco la difficoltà oggettiva di chi ha urgenza di fondi e non riesce a con- vincere i donatori nel modo corretto e nel rispetto dei beneficiati. Allora, anche per i più motivati e responsa- bili, c’è il rischio di cedere alla tentazione del «lassa- tivo» del diavolo, come diceva un vecchio missionario: «Il denaro è sterco del diavolo, ma se trovassi il lassa- tivo giusto gli farei avere una bella diarrea». Però - e credo fortemente in questo - penso che a lungo te- mine sia meglio rischiare l’impopolarità della corret- tezza che cercare il risultato immediato. Anche una sola persona in più che aiuti per le giuste ragioni è più importante di cento che sganciano soldi per togliersi il disturbo o per sentirsi a posto. Sulla base di quali criteri e principi MC sceglie le immagini che pubblica? Bellezza, rilevanza, verità. L’immagine deve essere «bella» e presentare bene e con rispetto la persona che vi è rappresentata. Idealmente l’immagine do- vrebbe essere quasi un’opera d’arte. Poi deve essere «rilevante» rispetto alla storia raccontata ed essere «veritiera» (rispecchiare quanto più possibile la ve- rità della situazione e dei fatti, senza manipolarla). In quale ordine usare questi tre criteri? Dipende. Certo la bellezza passa a volte in secondo piano, perché molti dei nostri corrispondenti non sono fotografi professionisti e fanno foto esteticamente «povere», nonostante abbiano molta verità da comunicare. La verità, però, non è sempre piacevole. E se è discu- tibilissimo che un’Ong debba sfruttare l’immagine dei vari piccoli «John» del mondo, è ancor più discutibile, anzi è vergognoso, che esistano ancora dei bambini che vivano nelle condizioni di quel piccolo. E questo bisogna avere il coraggio di dirlo, con forza. Chi.Gio. GENNAIO-FEBBRAIO 2016 MC 71 MC RUBRICHE
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