Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016

64 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2016 mercante si preparò per un viag- gio: decise di andare in India. Ge- nerosamente disse ad ogni schiavo [...]: “Che cosa vuoi che ti porti?”. Ognuno gli chiese ciò che più desiderava: il brav’uomo si impegnò con tutti. Poi disse al pappagallo: “Che regalo ti piace- rebbe che ti portassi dal paese dell’India?”. Il pappagallo ri- spose: “Quando laggiù vedrai i pappagalli, spiega loro la mia sventura e dì loro: ‘Il tal pappa- gallo, che ha nostalgia di voi, per desiderio del Cielo è nella mia prigione. Vi saluta, chiede giusti- zia, e desidera conoscere da voi un rimedio e un modo per essere ben guidato’. E dice ancora: ‘È bene che, avendo nostalgia di voi, io renda lo spirito e muoia nella separazione? È giusto che mi trovi in una crudele prigionia, mentre voi siete sui teneri arbu- sti o sugli alberi? È questa la fe- deltà degli amici?’”. […] Il mer- cante accettò quel messaggio e promise di portare il saluto del pappagallo ai suoi simili. Giunto ai limiti più estremi del- l’India, scorse nella pianura un gruppo di pappagalli. Fermò il suo cammello, poi trasmise il sa- La poesia di Dio Per comprendere come avviene l’elevazione dell’animo e della persona del sufi, c’è una com- plessa rete di pratiche rituali che sarebbe utile conoscere. Ma per comprendere il cuore delle aspi- razioni mistiche dei sufi, di libe- razione interiore, può bastare leggere alcuni dei suoi testi tradi- zionali. Il sufismo si esprime eminente- mente in poesia, e non è un caso che nei paesi musulmani la poe- sia sia ancora oggi un mezzo di contestazione sociale. Alcuni mi- stici trasmettono l’anelito alla li- bertà interiore e, spesso, a quella civile, proprio tramite la poesia. Lo si intuisce bene da una storia contenuta nel poema Mathnawî di Jalâl al-Dîn Rûmî, quasi una parabola con un pappagallo e il suo padrone come protagonisti, in cui è contenuta tutta la ten- sione del sufismo verso la purifi- cazione e liberazione. C’era un mercante che aveva un pappagallo «C’era un mercante che aveva un pappagallo; un bel pappagallo imprigionato in una gabbia 1 . Il luto, adempiendo così al suo in- carico. Ed ecco che uno dei pap- pagalli si mise a tremare violen- temente, il suo respiro si fermò e cadde morto. Il mercante si ram- maricò di aver dato quelle noti- zie, e disse: “Sono venuto a di- struggere questa creatura. Certa- mente era un parente del mio pappagallino [...]. Perché ho fatto questo? Perché ho portato quel messaggio? Con una parola stupida ho distrutto questa po- vera creatura”. […]. Il mercante concluse le sue fac- cende e tornò a casa col cuore lieto. Portò un dono a ogni schiavo, fece un regalo a ogni schiava. “Dov’è il mio regalo? - chiese il pappagallo -. Raccon- tami ciò che hai detto e che cosa hai visto”. “No - egli rispose - ve- ramente mi pento, torcendomi le mani e mordendomi le dita. Perché mai, per ignoranza e fol- lia, ho portato un messaggio tanto stupido?”. “Padrone - disse il pappagallo - di che cosa ti penti? Che cosa mai ti provoca collera o dolore?”. “Ho riferito i tuoi lamenti - rispose - a un gruppo di pappagalli simili a te. Uno dei pappagalli capì il tuo do- lore, che gli spezzò il cuore, tremò e morì. Mi sono addolo- rato. Pensavo: ‘Perché ho detto ciò?’ Ma a che serve pentirsi dopo aver parlato?” […]. Quando l’uccello udì ciò che quel pappagallo aveva fatto, tremò violentemente, cadde e rimase stecchito. Il mercante, veden- dolo cadere così, diede un balzo e gettò in terra il suo berretto; si buttò per terra e si lacerò il ve- stito [...]. Gridava: “Oh, bel pap- pagallo dalla voce soave! Che cosa ti è successo? Perché sei di- ventato così? Oh! Ahimé per il mio uccello dalla dolce voce! Oh! Ahimé per il mio amico intimo e J alâl al-Dîn Rûmî, detto Mawlânâ, cioè «nostro maestro», e conosciuto più comunemente come Rûmî (m. 1273), nacque a Balkh, nell’attuale Afgha- nistan. Dovette lasciare il suo paese con tutta la sua famiglia a causa di alcune difficoltà incontrate dal padre nei rap- porti con il potere politico locale. Da quel momento iniziò una peregrinazione orientale che da Balkh lo portò alla Mecca (la città santa dell’Islam in Ara- bia Saudita) per compiere il pellegrinag- gio rituale alla Kaaba, e da lì a Damasco (nell’attuale Siria). La leggenda vuole che, proprio a Dama- sco, la città dei califfi della dinastia om- meyyade, si incontrarono i due perso- naggi centrali dell’epoca: Ibn ‘Arabî (m. 1240) e, appunto, Rûmî. Dalla Siria, la famiglia di Rûmî fu poi condotta verso l’attuale Turchia: prima si fermarono nell’Est, a Erzincan, poi fu- rono invitati dal principe della dinastia seljuchide a Konya, l’antica Iconio di San Paolo, capitale del principato. A Konya si stabilirono definitivamente, e il padre di Rûmî iniziò a formare una scuola in cui offrire l’insegnamento della dottrina musulmana con tendenze sufi. Alla morte del padre, Rûmî stesso rilevò la scuola e continuò a formare numerosi discepoli. Il 30 novembre 1244, arrivò a Konya il derviscio nomade ( qalandar ) Shams al- Dîn di Tabriz (città dell’attuale Iran Nord occidentale). L’incontro fu un colpo di fulmine per entrambi, perché da quel momento i due sufi si incontrarono nella comune passione per Dio. Grazie a Shams, Rûmî incontrò una nuova forma, molto più libera, di devozione, di espres- sione gioiosa e liberatoria della propria passione per l’Onnipotente. Da quel mo- mento, Rûmî iniziò a praticare la celebre danza dei dervisci, il semâ’ . Gli scritti che lasciò permettono ancora oggi di scandagliare il suo animo profondo di poeta mistico tutto orientato al Misericordioso. La sua opera princi- pale, il Mathnawî , conta più di 54.000 versi in poesia, e altrettanti la sua se- conda opera principale, il Canzoniere de- dicato a Shams, il Dîwân al-Shams . A.F.A. JALÂL AL-DÎN RÛMÎ, DETTO MAWLÂNÂ Libertà Religiosa bass_nroll/Flickr.com

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