Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016
GENNAIO-FEBBRAIO 2016 MC 57 MC RUBRICHE ancora oggi: che siano le ragioni dell’umanità, sanzio- nate dal diritto internazionale, non la forza, non la vio- lenza, a prevalere. In questo modo vincerebbe la sag- gezza, prima condizione della pace. Ciò significa rinunziare alla legge del taglione (restituire al male ricevuto altrettanto, se non di più), per provare a vincere il male in modo diverso. Attenzione: questo non comporta affatto sminuire il male. Il male resta male, quindi nessun buonismo, perdonismo, giustificazioni- smo. Sarebbe vanificare la giustizia. Il problema è pro- vare (per quanto difficile sia, e ferma restando la neces- sità di innalzare argini robusti contro il fanatismo e la violenza) a inventare forme di risposta che siano capaci di contenere il male, di fermarlo: senza tollerare o creare situazioni che invece lo incentivino senza fine. Il problema è di creare logiche che siano capaci, quanto meno si sforzino, di ricomporre una fraternità ferita, di- visa da inimicizie profonde. Cercando di essere fratelli oltre i vincoli biologici. Oltrepassando i vincoli delle etnie per provare a fare della moltitudine di popoli che coesi- stono nel mondo una famiglia nella quale non ci si scanni. Mi rendo ben conto delle tante obiezioni possibili ri- spetto alle cose fin qui dette. Sempre più spesso ci si chiede se sia davvero praticabile il dialogo con chi è co- stituzionalmente sordo perché il suo fanatismo gli im- pone un unico scopo, quello di sterminare gli «altri». Ci si chiede anche se la fenditura tra musulmani e non (nel mondo intero e nei singoli paesi occidentali) sia ormai diventata così profonda da rendere gli uni e gli altri irre- versibilmente estranei e nemici. Quanto è difficile l’e- mersione dell’islammoderato? E tale emersione è resa ancor più difficile dalla frattura generazionale che si regi- stra nelle moschee? E come eliminare quei macigni che pesano sul quadro complessivo e lo schiacciano, come le enormi ambiguità di quanti (a partire dall’Arabia Sau- dita) finanziano il terrorismo, gli forniscono le armi e poi bombardano inserendosi in qualche «santa» alleanza? Come arrivare a una vera e autentica cooperazione in- ternazionale, che non sia dettata solo da opportunismi contingenti (come nel caso dell’alleanza francese con la Russia, tutt’ora sotto embargo per i fatti dell’Ucraina)? Sicurezza sì, ma con diritti e libertà Vero è (lo ripete da tempo papa Francesco, con visione allargata ai problemi di tutto il mondo, senza strabismi nazionalistici) che siamo di fronte a pezzi - sempre più consistenti - di una «Terza guerra mondiale». Ma forse è un motivo in più - se davvero si vuole uscirne - per ricor- dare che la sicurezza è certamente un bene fon- damentale (da sempre obiettivo delle migliori in- telligenze e dell’impegno più intenso). Un tema decisivo, che però non può essere esclusivo. Altri- menti c’è il rischio che diritti e libertà diventino ostaggio della sicurezza, con conseguenze a catena sempre più vaste e peggiori. Senza nasconderci (ma nello stesso tempo cer- cando di reagire con forza ad ogni tendenza alla rassegnazione) che, sotto l’incalzare dei fatti, le pa- role - troppe volte - possono anche sembrare lo- gore o inadeguate. Gian Carlo Caselli Questo articolo di Gian Carlo Caselli è stato condiviso con il quindicinale R oCCa (n. 24 del 15 dicembre 2015) . È un umanissimo sentimento di amarezza quello che prevale in Nient’altro che la verità , il rac- conto autobiografico di Gian Carlo Caselli. Un’amarezza che diventa una sorta di richiesta di perdono nei confronti delle persone a lui più vicine - i genitori (oggi scomparsi), la moglie Laura, i figli Paolo e Stefano - per «aver inflitto [loro] una over- dose di preoccupazioni e di sofferenze» e averli fatti vivere «in mezzo ai mitra», in una «situazione da trin- cea, da filo spinato» (riferendosi a un’intera vita sotto scorta, iniziata nel 1974 e mai terminata). Un’a- marezza che è delusione, rimpianto e, a volte, rabbia per alcuni eventi accaduti in 46 anni di magistratura. Come quando, era l’anno 2005, il governo Berlu- sconi, rabbioso per le incriminazioni di Giulio An- dreotti e Marcello Dell’Utri, inventò una legge contra personam per impedirgli di essere nominato «procu- ratore nazionale antimafia». Nonostante questo (e altro) la vita professionale di Gian Carlo Caselli è stata ricca di successi, prima nella lotta contro il terrorismo (1974-1986) e poi in quella, più dura, contro la mafia, combattuta dal palazzo di giustizia di Palermo, subito dopo gli omicidi di Gio- vanni Falcone (maggio 1992) e Paolo Borsellino (lu- glio 1992), amici e colleghi. «Sono figlio - scrive nelle prime pagine - di una cul- tura cattolica e di sinistra. Il fatto di aver trascorso la mia infanzia a contatto con gli operai, le dure condi- zioni della fabbrica e i sacrifici dei miei genitori spie- gano ad esempio la mia sensibilità nei confronti dei poveri, degli ultimi. Sono alla base del mio senso per la giustizia e dello sforzo per la legge come equità». Se l’autobiografia inizia con il ricordo, recentissimo, della dura contrapposizione con una parte del movi- mento NoTav e i contrasti con i colleghi di Magistra- tura democratica, essa finisce con il richiamo alla Let- tera ai giudici , la giustizia declinata secondo il pen- siero di don Milani nel lontano 1965. Un testo che Gian Carlo Caselli propone come «incorag- giamento e speranza ai magi- strati che verranno». Paolo Moiola L’ autobioGrafia Sotto SCorta Gian Carlo Caselli (con Mario Lancisi), Nient’altro che la verità. La mia vita per la giustizia fra misteri, calunnie e impunità, Edizioni Piemme, Milano 2015.
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