Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016

bito pubblico. C’è però una difficoltà: tagliare la spesa pubblica vuole dire meno investimenti, meno denaro per i dipendenti pubblici, meno servizi, ov- vero una diminuzione del Pil. Nel rapporto debito/Pil, quindi, da un lato i piani di austerità fanno calare il numeratore, dall’altro però cala an- che il denominatore. Lo stesso Fmi, membro auto- revole della Troika (vedi intervista a Bruno Amo- roso, ndr ), ha riconosciuto in un recente studio che nella gran parte dei casi tagliando la spesa pubblica il Pil diminuisce più rapidamente del debito. Il rap- porto continua a peggiorare. I piani di austerità non solo sono devastanti dal punto di vista sociale, ma sono nocivi anche da quello macroeconomico. Il peggioramento dei conti pubblici è legato anche all’architettura di un’Europa in mezzo al guado, dove a fronte di una moneta unica e di un’unica Banca centrale, ogni paese è chiamato a gestire au- tonomamente il proprio debito pubblico e non esi- stono meccanismi di trasferimento fiscale o di so- stegno agli stati. È così che, quando la Grecia è an- data in difficoltà, molti investitori (per non parlare dei fenomeni speculativi) sono fuggiti dai titoli del paese ellenico, il che non fa che aumentare le diffi- coltà di stati costretti a rivolgersi agli stessi mer- cati finanziari per ottenere il finanziamento dei suoi debiti pubblici. Di fatto una finanza fuori controllo causa la crisi ri- cevendo «in cambio» migliaia di miliardi senza nes- suna condizione o contropartita. Non parliamo uni- camente dei piani di salvataggio. Dai tassi portati quasi a zero alla liquidità a bassissimo costo, dal quantitative easing alle operazioni di cartolarizza- zione (vedi Glossario), è difficile fare anche solo l’e- lenco delle misure messe in campo per sostenere la finanza privata. Dall’altro lato, l’austerità viene im- posta ai cittadini con un rigore che rasenta il fanati- smo. Ira e fiducia: i «sentimenti» dei mercati finanziari Mentre i salvataggi finanziari da parte degli stati sono stati un gigantesco assegno in bianco, a tassi bassi o nulli e senza condizioni, solo un paio d’anni dopo i mercati finanziari hanno fissato condizioni durissime per ri-prestare i soldi agli stati. Essi non possono spendere per il welfare: le risorse devono andare al pagamento del debito e a rimettere a po- sto i conti pubblici. In Italia abbiamo cambiato la Costituzione per placare l’«ira» dei mercati finan- ziari. Al culmine del paradosso ci è stato detto che dovevamo accettare tali sacrifici per restituire «fiducia» ai mercati. Restituire fiducia, come se all’esatto opposto non fosse questa finanza-casinò a dovere radi- calmente cambiare rotta per riconquistare la nostra, di fiducia. L’intero peso della crisi causata dal collasso del gigantesco casinò finanziario privato è stato scaricato su lavoratrici e lavoratori e sulle classi sociali più deboli. Smantella- mento dei diritti e tutele, minori stipendi, ta- gli e privatizzazione del welfare, ovvero una dimi- nuzione netta del reddito indiretto. Chi non ha al- cuna responsabilità per lo scoppio della crisi ma anzi ne ha già pagato il prezzo più alto si è trovato, una volta di più, con il cerino in mano. Tutto questo mentre, sfruttando paradisi fiscali e trucchi per eludere o evadere le tasse, chi è in posizione di forza non paga al fisco nemmeno quanto dovuto. Un fenomeno che non fa che esasperare ulterior- mente le diseguaglianze. Il problema nel vedere i top manager gratificarsi con bonus milionari mentre gran parte dei cittadini sono chiamati a stringere la cinghia per rimborsare i danni che i primi hanno creato non è unicamente di ingiustizia sociale. La preoccupazione maggiore è che, proprio grazie alle risorse messe a disposi- zione dai governi, si sta creando uno scollamento sempre più marcato tra il sistema finanziario (nel quale vengono pompate risorse illimitate) e i citta- dini e il sistema produttivo, ai quali vengono impo- ste misure di austerità. Sono i presupposti per una nuova bolla finanziaria. Se dovesse scoppiare, ver- ranno a dirci che dobbiamo stringere la cinghia e accettare ulteriori sacrifici perché dobbiamo «re- stituire fiducia ai mercati»? Due visioni opposte Ci sono almeno due Europe che si confrontano. Non parliamo di un centro riunito attorno alla Ger- mania e di una periferia in difficoltà. Parliamo di due visioni economiche e sociali incompatibili. La prima fondata sull’austerità, le privatizzazioni e la flessibilità nel mondo del lavoro (leggi precarietà e perdita di diritti), il tutto nel nome della competiti- vità. La seconda chiede al contrario di premere l’ac- celeratore verso un’Europa sociale, fiscale e dei di- GENNAIO-FEBBRAIO 2016 MC 35 L a legge di Stabilità 2016 non cambia verso: è iniqua, di corto respiro e priva di una strategia adeguata a rilanciare l’economia dell’Italia. Anche quest’anno il governo sceglie come priorità la riduzione delle tasse omettendo di dire che si tradurrà anche in un ulteriore taglio dei servizi pubblici. Alla redistribuzione del patri- monio e del reddito il governo preferisce di fatto la redi- stribuzione delle diseguaglianze a vantag- gio di chi si trova nelle posizioni più privi- legiate: ricchi e imprese. La strada per- corsa dal governo è l’unica possibile? La contromanovra da 35 miliardi di Sbilan- ciamoci! dimostra di «no» con le sue 89 proposte alternative. Rapporto Sbilanciamoci! 2016 Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente. Il Pdf è scaricabile da www.sbilanciamoci.org. DOSSIER MC RICCHEZZA E POVERTÀ 2016: Sbilanciamoci!

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=