Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016

34 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2016 crisi sarebbe legata a un debito pubblico troppo alto, a bilanci fuori controllo a causa di un’eccesso di welfare e spesa sociale. L’Italia è uno dei casi più evidenti, con un rapporto tra debito e Pil che ha superato il 130% (vedi imma- gine, ndr ). Il nostro paese ha sempre avuto un de- bito alto, ma da un valore ben superiore al 120% in- torno alla metà degli anni ‘90, il rapporto debito/Pil è poi costantemente sceso, fino ad arrivare al 103% nel 2008. Una diminuzione di quasi 20 punti in meno di 15 anni non è certo l’andamento di uno «stato spendaccione» o di cittadini che «hanno vis- suto al di sopra delle loro possibilità», come ci viene quotidianamente ripetuto. Con numeri diversi, la tendenza è la stessa in tutte le principali economie occidentali: rapporto de- bito/Pil quasi costante per oltre un decennio, poi improvviso aumento dopo il 2008. Considerato che negli ultimi anni abbiamo subito pesanti tagli alla spesa pubblica senza risolvere i problemi, chiara- mente le cause della crisi vanno ricercate altrove. Dal privato al pubblico: come la crisi è nata e si è diffusa Quello che è avvenuto è stato il collasso della fi- nanza privata, non certo di quella pubblica: lo scop- pio della bolla dei subprime (tra il 2007 e il 2008) e la conseguente recessione, che ha indotto gli stati a indebitarsi per salvare le stesse banche responsa- bili della crisi. Il tutto secondo un noto principio: finché le cose vanno bene i profitti sono privati, ma quando il giocattolo si rompe le perdite vengono so- cializzate e caricate sulle spalle dei cittadini. Con buona pace di trent’anni di dottrina neoliberista e di teoria dei mercati efficienti. Le «cinghie di trasmissione» della crisi dal privato al pubblico sono state almeno tre. La prima: il crollo della finanza privata ha provocato una reces- sione globale, ovvero una diminuzione del Pil. Quando le politiche economiche sono fondate sull’a- nalisi del rapporto debito/Pil, la diminuzione del denominatore (il Pil appunto) provoca un’imme- diato peggioramento del rapporto. La seconda cin- ghia: anche il numeratore (il debito) è peggiorato, perché recessione significa meno consumi e quindi meno entrate fiscali (a partire dall’Iva che è un’im- posta sui consumi); pertanto, a parità di spese pub- bliche, un deficit maggiore e un aumento del debito. La terza: il debito è aumentato anche per le spese che i governi hanno dovuto affrontare per atte- nuare alcuni degli impatti più nefasti della crisi, come avvenuto in Italia con l’aumento degli inter- venti per la cassa integrazione. Soprattutto a cavallo del 2008, Usa, Gran Breta- gna, Germania, Francia e altri governi hanno avuto necessità di trovare somme enormi per correre al capezzale delle loro banche, emettendo quindi una montagna di titoli di stato, proprio in un momento di difficoltà, quindi con meno capitali disposti a in- vestire. Per la legge della domanda e dell’offerta, questo si è tradotto in una concorrenza spietata per piazzare i propri titoli sui mercati. La Germa- nia, con un’economia più solida, è riuscita a ven- dere i propri bund , mentre paesi come l’Italia hanno avuto maggiori difficoltà, e sono stati co- stretti ad aumentare i tassi di interesse offerti. È il famigerato «spread», che indica proprio la diffe- renza di tasso di interesse tra titoli italiani e tede- schi. Con l’aumento dello spread sono peggiorati i conti pubblici, le agenzie di rating ci hanno tagliato il voto, gli investitori non hanno acquistato più i no- stri titoli, obbligandoci a offrire rendimenti ancora superiori, ovvero un ulteriore aumento dello spread, in una spirale che si auto alimentava. La vittoria dei fanatici dell’austerità È la stessa austerità a portare a un repentino peg- gioramento. Se si taglia la spesa pubblica, a parità di entrate diminuisce il deficit e quindi tende a mi- gliorare - o per lo meno a peggiorare di meno - il de- © mages money / rivista MC MINI GLOSSARIO A vANzO pRIMARIO - Si ha quando il totale delle entrate della macchina pubblica risulta superiore al totale delle spese al netto degli interessi sul debito pubblico. L’avanzo primario dell’Italia nei prossimi tre anni potrebbe raggiungere il 4-5% del Pil. Ogni anno l’Italia deve però impegnare il 5% del Pil per pagare gli interessi passivi. C ARtOLARIzzAzIONe - Specie di alchimia finanziaria che tra- muta una attività finanziaria indivisa - per esempio, un cre- dito - in una attività divisa e vendibile, cioè a dire in titoli («carta»). Q uANtItAtIve eASING - Traduzione letterale, «alleggerimento quantitativo». Si ha quando una banca centrale (la Bce, ad esempio) acquista titoli di stato per incentivare la crescita. S pReAd - È il differenziale che c’è tra due tassi d’interesse. Nel mercato dei titoli di stato, indica la percezione che il mercato ha del rischio di un determinato paese: più i rendi- menti dei suoi titoli aumentano rispetto a quelli di altri paesi, più gli investitori lo ritengono rischioso e per questo chiedono interessi più elevati. Più lo spread sale, più lo stato è percepito rischioso da chi investe.

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