Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016

MC ARTICOLI triangolari. I pescatori sono al la- voro, le loro capanne su palafitte e le barche formano un paesaggio sereno. Prendo alloggio in una struttura vecchia ma simpatica, dove incontro viaggiatori come Beate e Volkmar, da tre mesi in giro per il Myanmar. Lui è un fi- sico di Friburgo. Beate è stata in- fermiera e ora che è in pensione ha convinto Volkmar a lasciare il lavoro per viaggiare. Ceniamo in- sieme a Htum Shwe, un ingegnere birmano che ha ereditato il com- plesso e lo sta trasformando in una pensione. Vive e lavora a Yan- gon, dove risiede con moglie e fi- gli. Una volta al mese arriva per seguire i lavori. La sua era una fa- miglia di proprietari terrieri di Sittwe che perse tutto con la riforma socialista. Pagode a Mrauk U Vedo le bambine andare al pozzo, caricarsi sul fianco grandi brocche di alluminio. Una di loro ha un viso assorto, bello, con la pasta di tanakha sulle guance. Veste alla marinara, con la casacca bianca e blu che contrasta con la povertà dell’ambiente. Mi indica un colle con la pagoda più bella, Maha- bodi swegu. Mi avvio su un sen- tiero impervio e raggiungo la pa- goda nascosta dai cespugli. Entro e noto le pareti scolpite a fasce, con le storie di Buddha e la vita di villaggio di 400 anni fa. Battaglie, animali, anche un uomo con la te- sta in giù, come quelli che ho vi- sto scolpiti sulle chiese più anti- che in Sardegna. Proseguo per vi- sitare altre pagode e vedo una ra- gazzina, seduta al bordo della strada sterrata, con un neonato in grembo. Ha una piaga sul viso triste, il suo sguardo sgomento mi dice che non è consapevole del fatto di essere madre, non credo abbia più di quindici anni. Le ca- panne sono povere e sporche, si cucina sulla terra, si dorme su pa- vimenti di bambù sollevati da pa- lafitte, tutti insieme. Promiscuità, miseria e ignoranza. Mrauk U è un cantiere aperto, stanno aprendo alberghi e asfal- tando strade, sperando nel turi- smo. Alle 7 del mattino passano i pick up a prendere le giovani che lavorano nei cantieri. Le più grandi lavorano sulle strade in costruzione, lisciando la gra- niglia nera con le mani. Con un cappello conico e un bavero sul viso spalano la sabbia e la ghiaia. Gli uomini guidano rumo- rosi mezzi che sembrano assem- blati per gioco. I templi sono di pietra scura, sem- brano fortezze con tanti stupa a campana. Chi arriva qui rimane incantato dai tramonti e dalle albe che si possono ammirare dall’alto dei colli, in un’atmosfera magica. Claudia Caramanti (fine prima parte - continua) N OTE : 1- Il conflitto, che gli esperti definiscono a «bassa intensità», continua a mie- tere vittime e a causare sofferenza. Tutto è iniziato nel 1949. Dopo aver ot- tenuto l’indipendenza dalla Gran Bre- tagna, alla fine del secondo conflitto mondiale, il nuovo presidente del paese, Aung San - padre di Aung San Suu Kyi, futuro leader della Lega nazio- nale per la democrazia (Ndl) e Nobel per la pace - aveva firmato, in accordo con i capi delle diverse comunità etni- che che compongono il complesso mo- saico birmano, il «Trattato di Plan- glong». L’accordo offriva a ciascun po- polo la possibilità di scegliere - entro il termine di dieci anni - il proprio de- stino politico e sociale. Questo trattato non è stato mai rispettato da Rangoon (Yangon) perché, dopo un colpo di stato e l’uccisione di Aung San, il po- tere è passato alla dittatura militare del generale Ne Win. Così, da sessan- tasei anni a questa parte, i Karen - un popolo che conta ben sette milioni di persone - imbracciano le armi. 2- Sulla situazione vedi Stefano Vecchia, Quando l’islamofobia è buddhista , MC luglio 2013. A RCHIVIO MC: • Gabriele Battaglia, Fango, mine ed eroina , agosto-settembre 2014; • Piergiorgio Pescali, La nuova via birmana , dossier, aprile 2014; • Stefano Vecchia, Quando l’isla- mofobia è buddhista , luglio 2013.

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