Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016
# Sopra : in un seggio di Yangon, Aung San Suu Kyi deposita la propria scheda elettorale per le elezioni dell’8 novembre 2015. A sinistra , in alto : punto di partenza dei risciò a Thandwe; in basso : sulla spiaggia di Ngapali le donne fanno essiccare il pesce di piccole dimensioni. GENNAIO-FEBBRAIO 2016 MC 25 MC ARTICOLI N el 1990 le elezioni birmane furono vinte da Aung San Suu Kyi e dal suo partito, la «Lega nazionale per la democrazia» (Nld). I generali al potere non riconobbero però il risultato, confermando gli arresti domiciliari per San Suu Kyi, che l’anno dopo venne premiata con il Nobel per la pace. Nel 2008 i militari fecero appro- vare una nuova Costituzione e nel 2010, dopo ele- zioni giudicate dai più una farsa, mandarono al go- verno il «Partito dell’unione, della solidarietà e dello sviluppo», loro diretta emanazione. Arriviamo così all’oggi. Le elezioni dell’8 novembre 2015 sono state finalmente considerate regolari e la vittoria della Lega nazionale per la democrazia è stata netta. Come ha riconosciuto lo stesso Thein Sein, attuale presidente ed ex generale. Tutto bene, dunque? Alla domanda non si può dare una risposta certa, perché i vincitori dovranno percorrere una strada tortuosa e irta di ostacoli, a cominciare da quelli posti dalla Costituzione del 2008. In base a un comma dell’articolo 59, infatti, Aung San Suu Kyi non potrà essere eletta presidente in quanto ha spo- sato un cittadino straniero (il defunto marito Mi- chael Aris), ed è madre di cittadini stranieri (i figli Alexander e Kim). Ma c’è dell’altro. Il parlamento birmano è bicamerale. C’è la Camera Alta o delle nazionalità ( Pyidaungsu Hluttaw ) e la Camera Bassa o dei rappresentanti ( Pyithu Hluttaw ). I mili- tari, sempre attraverso la Costituzione del 2008, si sono riservati il 25% dei seggi: 56 su 224 nella prima e 110 su 440 nella seconda. Sembra un delitto per- fetto: trovare un compromesso pacifico sarà un’im- presa. O ltre ai problemi legati al governo, la settan- tenne Aung San Suu Kyi dovrà affrontare quelli di un paese in cui sono presenti almeno tre conflitti interni a bassa intensità fondati su base etnica: nello Stato Kachin, nello Stato Shan e nello Stato Kayin (Karen). Anche dal punto di vista religioso le cose non sono così lineari come una pubblicistica approssimativa potrebbe far credere. Il buddismo (di tradizione Theravada), religione nettamente predominante, ha assunto negli anni caratteri nazionalistici, annac- quando la propria filosofia non violenta. Come acca- duto, per esempio, per il movimento «969», guidato dal monaco Shin Wirathu. Due sono le situazioni più gravi da segnalare. Nello Stato Rakhine è in atto una repressione violenta contro la minoranza mu- sulmana (i Rohingya, ai quali, tra l’altro, non è stato concesso di partecipare alle elezioni). Nello Stato Chin è invece la maggioranza cristiana a denun- ciare l’esistenza di situazioni discriminatorie. Rispetto alle relazioni internazionali (il Myanmar è ricco di risorse, e si trova in posizione strategica), tutto è in movimento. Prima delle elezioni (in giu- gno), Aung San Suu Kyi era stata in visita a Pe- chino, forse per rassicurare i sospettosi dirigenti ci- nesi. Quanto agli Stati Uniti, le sanzioni economiche erano già state allentate pochi mesi prima della vi- sita di Obama a Thein Sein (novembre 2012). Con l’arrivo di San Suu Kyi il dialogo pare destinato a in- fittirsi. Cina permettendo. PaoloMoiola Le elezioni dell’8 novembre 2015 Una vittoria, molte incognite Per poter governare il paese, il premio Nobel Aung San SuuKyi dovrà trattare con i mili- tari, che, pur ampiamente sconfitti, rimangono sulla scena. © AFP / Str, 2015
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