Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016

MC ARTICOLI GENNAIO-FEBBRAIO 2016 MC 13 tati sul potere. L’esercito è sem- brata la sola forza con una certa coesione». Un anno dopo: il fulmine Il 16 settembre 2015 i militari del Reggimento di sicurezza presiden- ziale (Rsp), durante una riunione del Consiglio dei ministri, pren- dono in ostaggio il presidente di transizione Michel Kafando e al- cuni ministri. È golpe. Il generale Gilbert Diéndéré, fedelissimo di Compaoré, già coinvolto in nume- rosi crimini del regime, si pro- clama capo di stato. Parte una cac- cia all’uomo nei confronti dei re- sponsabili dei movimenti che hanno guidato l’insurrezione di ot- tobre. Gli effettivi del Rsp, circa 1.300 uomini scelti e ben armati, si sparpagliano per la città allo scopo di bloccare ogni possibile rea- zione. Il pretesto del putsch è che le elezioni, previste l’11 ottobre, non sarebbero inclusive, perché escludono alcuni personaggi troppo vicini a Compaoré. Di fatto da mesi c’erano attriti tra il primo ministro Isaac Zida, lui stesso ex Rsp, e il reggimento. Ed era sul ta- volo la dissoluzione stessa del corpo. I burkinabè sono attoniti, si ve- dono scippare il cambiamento per cui hanno tanto lottato e al- cuni di loro sono morti. «Sì, la no- tizia ci è arrivata addosso. Ci siamo subito detti: la lotta deve continuare. Era qualcosa davvero di inimmaginabile, anche se qual- che preoccupazione in realtà io l’avevo avuta», ricorda Daoda. «Siamo andati alla rotonda della Patte d’Oie e abbiamo deciso di marciare verso Kosyam (il palazzo presidenziale dove presidente e primo ministro erano agli arresti, ndr ) la sera stessa. Andando avanti, abbiamo incontrato uo- mini del Rsp che hanno comin- ciato a sparare. Siamo tutti fuggiti allo sbando». «Abbiamo girato per Ouagadou- gou per riprendere la mobilita- zione. La gente era irritata. I mili- tari entravano nei quartieri e spa- ravano pallottole reali, facevano togliere le barricate. Ma appena se ne andavano, gli abitanti le ri- facevano. I militari del Rsp non erano troppo umani in quel mo- mento. Se li guardavi in faccia, sentivi l’alcool, la droga, vedevi occhi di gente che non aveva più niente da perdere». Durante una settimana la capitale del Burkina Faso rimane bloccata. I sindacati proclamano uno scio- pero generale su tutto il territorio nazionale che ottiene la massima adesione. Nelle altre città si rie- scono a fare delle manifestazioni contro i golpisti. La repressione dell’Rsp causa almeno 17 morti e 108 feriti. Molte vittime sono col- pite alla schiena. Mediazione insufficiente Intanto si attiva una mediazione della Cedeao (Comunità econo- mica degli stati dell’Africa dell’O- vest), che coinvolge mons. Paul Ouedraogo, vescovo di Bobo- paoré fosse stato furbo, avrebbe chiamato i partiti politici che lo contestavano per cercare un ter- reno d’intesa. Avrebbe dovuto capire che il limite era stato pas- sato». La fuga del dinosauro «Ero nella piazza della Rivoluzione ricolma di gente, avevo la maglia nera di Le Balai Citoyen - ricorda Daoda - . Sono arrivati dei militari, tra loro Isaac Zida (membro della guardia presidenziale, ha preso il potere alla fuga di Blaise per poi renderlo ai civili. È stato quindi no- minato primo ministro di transi- zione, ndr ). Non lo conoscevo. Un militare mi tocca la schiena e mi chiede: “Come fate per far passare la gente?”. Rispondo: “Qui non c’è violenza. Dove volete andare?”. “Il capo deve passare”. E io: “Ok, se- guitemi”. Ero davanti e, con il lin- guaggio del ghetto, della strada, ho detto: “il capo arriva e ci porta buone notizie”. La folla si è allora aperta e Zida, arrivato al centro della piazza, ha iniziato a parlare con il microfono. Quando ha an- nunciato che Blaise aveva dato le dimissioni l’euforia della gente è stata grande». Continua Nama: «I partiti politici hanno acquistato molta impor- tanza in questa occasione. Sfortu- natamente per loro, però, non avevano previsto la partenza di Compaoré che li ha presi comple- tamente alla sprovvista. Non ave- vano soluzioni pronte. Ancora una volta i militari si sono precipi- # A sinistra : l’abbé Pascal Kolesnore a Ouagadougou, ottobre 2015. # Di fianco : in attesa dello scrutinio in un seggio di Ouagadougou, il 29 novembre scorso. © AFP / ssouf Sanogo

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