Missioni Consolata - Dicembre 2015
DICEMBRE 2015 amico 73 AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT Qual è la difficoltà più grande che incontri? E quale la soddisfazione? «La difficoltà più grande è il sentimento di impo- tenza di fronte alle situazioni umane dolorose: faccio parte di una équipe di professionisti che lavora con vittime di abusi sessuali, di conflitti di varia natura, ecc. Incontro una sofferenza inimmaginabile. Mi rendo conto che c’è un mondo sotterraneo e silen- zioso di dolore. C’è gente che ti parla di abusi ses- suali anche dopo trent’anni che li ha subiti. Le per- sone sono contente di trovare un luogo in cui pos- sono raccontare con sicurezza i loro dolori. E la soddisfazione più grande è legata alla stessa cosa: mi piace vedere di poter dare una mano a qualcuno a essere un po’ più felice. Nella nostra zona, ma, mi sembra, in tutto il Messico, è molto forte una visione della vita in cui domina il senti- mento della colpa, e quindi mi dà gioia vedere che a volte riesco a mostrare un Dio diverso, il nostro Dio di misericordia, di amore, che non sta lì con la pi- stola per punire ogni sbaglio. La mia soddisfazione è vedere la gente che recupera vicinanza con Dio, che inizia a liberarsi da colpe che non deve assumersi. A me piace molto il brano del Vangelo di Giovanni che dice: “Io sono venuto per dare la vita e darla in ab- bondanza”. Liberare le persone dalla visione di un Dio che castiga, che ti controlla sempre, che difficil- mente perdona. Anche tra i giovani è molto forte questa visione tradizionale. Per questo hanno lotte interiori profonde che a volte sconquassano la loro vita». Quali sono secondo te le grandi sfide della missione del futuro? «I missionari generalmente cercano di lavorare e mi- gliorare le condizioni di vita della gente a livello “mi- cro”, però in realtà molti problemi dipendono dal “macro”. Faccio un esempio: io missionario lavoro 20 anni con una comunità indigena in Amazzonia, poi il governo centrale decide di fare una diga che cancella in un momento quel popolo e, in un certo senso, tutto il lavoro fatto. C’è bisogno di lavorare al livello “macro”, sugli enormi interessi politici, eco- nomici, finanziari che muovono il mondo. Per farlo però dobbiamo lasciarci aiutare da persone prepa- rate, dai laici. A volte noi siamo piccoli infermieri che lavorano sui sintomi, ma ci vuole un’azione più a monte, sulla malattia. A un livello più strettamente missionario, altra sfida grande è quella del dialogo religioso. Superare la vi- sione per la quale io ho la verità in tasca e gli altri più o meno. È la sfida di un’alleanza religiosa per mi- gliorare la vita della gente in tutto il mondo». Cosa possono offrire i missionari della Consolata al mondo? «Una nostra caratteristica è la vicinanza alla gente. Qui in Messico mi sono sentito dire più di una volta: “Voi siete diversi”. Visitiamo le persone, le famiglie, cerchiamo una relazione. Non ci facciamo prendere dallo status: i sacerdoti da una parte, i fedeli e la gente dall’altra. Le persone vedono a apprezzano che siamo semplici, che non facciamo differenze, che parliamo anche con i più umili. Altra nostra caratteristica è lo spirito di famiglia, per cui tra noi non ci sono relazioni basate sui ruoli: io sono l’amministratore, io il superiore, e così via. Questo spirito che viviamo tra noi si comunica anche alle persone con cui abbiamo a che fare. In Messico le gerarchie sono molto importanti: quando la gente vede che vestiamo normalmente, che parliamo con semplicità, e così via, rimane colpita positivamente». Cosa possono fare, secondo te, i missionari della Consolata per avere impatto sui giovani? «Innanzitutto dovrebbero scegliere le persone giu- ste: io ad esempio non mi sento in grado di entrare in sintonia con i giovani. Ci sono altri padri, invece, che sono bravissimi animatori. Il mondo giovanile è una bella sfida, anche perché sta cambiando moltissimo. I giovani oggi sono molto preparati a livello intellettuale, però sono molto fragili da un punto di vista psicologico. Molti vivono un vuoto. Fa impressione il numero di quelli che ci dicono: “Padre, voglio suicidarmi”. Per que- sto penso che sia fondamentale essere una pre- senza, ascoltare, dire: “Ci sono per te”». Ci suggerisci uno slogan da proporre ai giovani che si avvicinano ai nostri centri missionari? «Mi ricordo che, quando da giovane chiamavo la casa di Bevera al telefono e dicevo: “Pronto, Missio- nari della Consolata?”, padre Stefano Camerlengo, ogni volta, rispondeva: “Sempre!”. Un’altra frase che diceva spesso era: “Missionari è il massimo”. E io sono convinto di questo: con tutte le difficoltà e incongruenze che possono esserci, per me la vita missionaria è il massimo». Luca Lorusso M ESSICO NELL ’ ARCHIVIO MC: Il paese dell’ingiusti- zia , Dossier MC, maggio-giugno 2010. © Gigi Anataloni_P. Alex durante la sua prima esperienza missionaria in Kenya, 1991.
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