Missioni Consolata - Dicembre 2015

Una contestazione di pratiche disumane Nel 2° millennio a.C. era diffusa la pratica dei sacrifici umani. Il Dio di Israele rifiuta questo culto perché lui dà la vita, non la toglie. L’autore biblico, afferma que- sto principio con il racconto in cui Dio mette alla prova Abramo chiedendogli di sacrificare la garanzia del suo futuro: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco… e offrilo in olocausto». Mai padre si era trovato in questa angoscia. Come ubbidire? Il figlio che Dio gli ha dato nella vecchiaia, ora gli viene ri- chiesto indietro. Per avere una posterità deve ucci- derlo. Il fatto che Dio metta alla prova Abramo è un modo per dire che tutto dipende dal Creatore: la vita e la morte, il presente e il futuro. Nulla ha senso fuori di Dio. Abramo si fida, perché Dio gli ha dato un figlio quando era certo di non poterne più avere, e per- ché tutto quello che gli aveva promesso si è sempre verificato. Anche se «adesso» non capisce, Abramo sa che Dio non può venire meno alla sua parola; per questo si abbandona totalmente alla sua volontà, buttandosi nel vuoto e nel buio della fede e affidan- dosi totalmente alla Parola. Avendo saggiato il suo abbandono senza riserve, Dio, l’incomprensibile, «ora» restituisce ad Abramo il figlio come se il patriarca lo avesse generato per la seconda volta. Isacco non è solo figlio della natura, ma «ora» è anche figlio dell’obbedienza e della fede. La tradizione ebraica non si ferma qui - benché il racconto fosse già sufficiente a contestare i sacrifici umani -, e va oltre, facendo fiorire leggende su leg- gende: insegnano i padri che Isacco avesse 37 anni al tempo dell’episodio del sacrificio, e che, mentre il padre lo legava come un agnello, egli, invece di pro- testare, lo supplicava di non esitare e di legarlo bene perché non accadesse che per paura si met- tesse a scalciare, rendendo nullo il sacrifico. Nel tempio di Gerusalemme vi era un rituale minuzioso per legare gli agnelli del sacrificio, perché potessero essere uccisi in modo da non invalidare il rito. La fedeltà oltre l’irrazionale Il figlio unigenito incoraggia il padre a legarlo per ubbidire al Signore che sa quello che fa, anche se noi non ne vediamo il senso e la ragione. Isacco, le- gato alla legna del sacrificio sull’altare di pietra, sul monte Mòria, dove secoli dopo sarebbe sorto il tempio di Gerusalemme, nella tradizione cristiana diventa il simbolo di Cristo, il Figlio Unigenito, le- gato al legno della croce e ucciso sull’altare dell’e- spiazione all’età di circa 37 anni. Aggiunge la Bibbia che Dio fermò Abramo provve- dendo per il sacrificio un «ariete» al posto di Isacco: «Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impi- gliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e l’offrì in olocausto invece del fi- glio» (Gen 22,13). La tradizione giudaica aggiunge che Abramo, com- piuto il sacrificio dell’ariete, si rivolse a Dio chieden- dogli che, in considerazione dell’atteggiamento di Isacco che non si era ribellato, ma che, anzi, lo aveva incitato a obbedire senza esitare al comando di Dio, quando in futuro i figli di Isacco lo avessero pregato, egli li ascoltasse proprio in memoria dell’ A- qèdah - legatura. Per i meriti del figlio Isacco, Abramo ricevette l’alleanza da Dio. Per i meriti di Cristo legato alla croce, noi siamo salvati. Dal simbolo alla storia perenne Per questo motivo in Israele si suonava il corno di ariete nel tempio di Gerusalemme all’inizio della preghiera, prima di cominciare il «Rosh-ha- shannàh» (anno nuovo), a conclusione dello «Yom Kippur» (capodanno), all’apertura del «Giubileo» ogni sette anni e, ancora oggi, all’inizio dello «Shabàt» (il sabato) e nel giorno d’insediamento del presidente dello stato. La storia non è una successione di eventi e fatti, in senso cronologico, ma una rete di connessioni e di implicanze, una serie di legami tra cause ed effetti, tra ragioni e motivazioni che illuminano il passaggio tra ieri e oggi e domani, dando all’individuo il senso pieno di appartenenza a una storia che ha le radici in cielo e lo sviluppo in terra. Il Giubileo è il frutto maturo che si realizza tra la promessa di Dio e la fe- deltà dell’uomo nella rete della convivenza civile, come vedremo spiegando, nei prossimi numeri, il si- gnificato biblico del Giubileo stesso. MISERICORDIA Il secondo termine-chiave è «Misericordiae», so- stantivo femminile della 1 a declinazione latina, deri- vato dall’aggettivo misericors , composto dalla ra- dice miser - misero /sciagurato / malato e cor-cordis - cuore. Esso esprime un nobile sentimento che na- sce dal «cuore» e si muove verso chi è nel bisogno (il misero), un movimento interiore di pietà che di- venta attenzione. Nella lingua corrente popolare ha acquisito anche un senso negativo, in quanto «avere misericordia / pietà di qualcuno» può significare anche un senti- mento di disprezzo, se chi lo prova è maldisposto. Nel Medioevo si chiamava «misericordia» il pugnale con cui si dava il colpo di grazia ai guerrieri agoniz- zanti e senza possibilità di guarigione; in questo caso si era «misericordiosi» perché si dava la morte per compassione: una forma di eutanasia ante litte- ram . In Toscana dal sec. XIII è il nome di un sodali- zio/confraternita che nei secoli passati si prendeva cura dei poveri, dei malati, dei carcerati e dava se- poltura ai morti abbandonati. Oggi prosegue nella stessa direzione e svolge la funzione di pubblica as- sistenza. Nel parlare popolare è anche un’invoca- zione di stupore / paura o disappunto: «Misericor- dia!». Una prospettiva di vita Se andiamo indietro nel tempo e cerchiamo la ra- dice del senso della parola «misericordia» nella Bib- bia, vediamo che il ventaglio semantico si allarga e ci travolge. I lettori di Mc non sono nuovi a questo genere di approfondimenti, perché ne abbiamo par- lato diverse volte in questi anni, specialmente nel commento alla parabola del «Padre che fu madre» di Lc 15, più comunemente conosciuta come para- bola del «Figliol prodigo». Ciononostante è utile rin- frescarsi le idee, secondo l’adagio latino che «repe- tita iuvant», anche se a volte anche «stufant». Ve- dremo di aiutare senza stufare. DICEMBRE 2015 MC 33 MC RUBRICHE

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