Missioni Consolata - Novembre 2015

nista la strada della solidarietà in- ternazionale: dalle federazioni di Ong - che propongono spesso loro stesse master e percorsi formativi - alle università, ai blog individuali di cooperanti e addetti ai lavori, non è difficile farsi un’idea delle carat- teristiche e delle difficoltà di que- sto lavoro. La prima di queste indi- cazioni è molto chiara: essere buoni non basta, occorre avere un’elevata professionalità e dotarsi di conoscenze tecniche precise. Queste conoscenze hanno a che fare con la gestione del ciclo di progetto, ma è bene tenere in con- siderazione anche tutta quella se- rie di competenze delle quali qua- lunque organizzazione necessita a prescindere dal settore in cui opera: amministratori, logisti, informatici, non hanno meno pro- babilità di venire reclutati da una Ong, anzi. Per rendersene conto basta dare un’occhiata alle offerte di lavoro sulla bacheca Volint - da anni punto di riferimento in Italia per chi cerca lavoro nella coopera- zione - o sulla pagina della vacancy di Lavorare nel mondo . Altro aspetto importante è ovviamente quello delle lingue, indispensabili per lavorare in un ambito come quello dello sviluppo che è per sua stessa natura internazionale. L’in- glese prima di tutto, certo, ma senza dimenticare le altre lingue parlate nei paesi in cui si fa coope- razione, comprese quelle locali. Chiara Giovetti tuale lavoro, le competenze ac- quisite con gli studi mentre il 44 per cento non le utilizza per niente. Uno su tre giudica utile la propria laurea magistrale nello svolgere la propria attività lavora- tiva, mentre il 77 per cento so- stiene che era sufficiente una lau- rea di primo livello o anche un ti- tolo non universitario. Lo stipen- dio medio è poco meno di 1000 euro, con un divario notevole fra uomini e donne. I primi infatti percepiscono circa 1.300 euro contro i meno di novecento delle colleghe. Per i giovani intervistati sempre nel 2014, ma laureati da cinque anni, la situazione appare meno difficile: a lavorare è il 70 per cento; la quota di chi lavora nel non profit rimane praticamente invariata (quasi il 27%), mentre il venti è impiegato nel settore pub- blico e oltre il cinquanta nel pri- vato. Si dimezza, inoltre, la per- centuale di persone che non usa per niente le conoscenze ottenute grazie alla laurea e lo stipendio aumenta a poco meno di 1.300 euro: 1.479 per i maschi e 1.184 per le femmine. Questi dati sono ovviamente molto parziali poiché si concen- trano solo su chi ha scelto la coo- perazione come percorso di studi specialistici e non tiene in consi- derazione chi invece arriva a lavo- rare in questo ambito per altre vie. Basta pensare a quanti me- dici, infermieri, economisti, antro- pologi, ingegneri sono attivi nei progetti realizzati sul campo - quindi a tutti gli effetti operatori del settore - per capire che gli studi in cooperazione non sono certo l’unico canale di entrata nel mondo dello sviluppo. Emerge tuttavia un quadro nel quale i ragazzi che hanno via via scelto la cooperazione per il loro percorso di formazione è aumen- tato più o meno con gli stessi ritmi di crescita degli enti che si occu- pano di questo tema. Purtroppo l’entrata di questi laureati nel mercato del lavoro appare non impossibile ma certamente non immediata. In rete sono molti i siti che cercano di fornire indicazioni utili per chi in- tende intraprendere da professio- Cooperando… 62 MC NOVEMBRE 2015 © Chiara Giovetti CHE COSA NON FARE: AVVENTURIERI E IMPROVVISATORI The Volontourist è un docu- mentario uscito quest’anno per far riflettere sul feno- meno del «volonturismo» - termine nato dall’unione di «volontariato» e «turismo» -, sul business creatosi in- torno a esso e sui danni che rischia di generare nei luo- ghi in cui arriva. La campagna di raccolta fondi della Ong francese So- lidarité Internationale pre- senta in tre video i colloqui con potenziali volontari (in- terpretati da attori) che danno voce ai peggiori ste- reotipi legati alla coopera- zione. «Non ho esperienza nell’umanitario», dice una ragazza con abiti e gioielli etnici che si offre come vo- lontaria, «ma ne ho già par- lato con mia cugina, ho fatto tantissimo la baby sitter e poi un bambino che muore di fame è come un bambino normale, ha bisogno d’a- more. Qui ho un cuore e il cuore è fatto per dare amore alla gente». «Posso aiutare a fare delle inie- zioni», propone invece un pensionato in un altro dei tre video, «non le ho mai fatte, ma ci posso provare».

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