Missioni Consolata - Novembre 2015

NOVEMBRE 2015 MC 55 MC RUBRICHE continuare a «esibirsi» nel loro rituale di danza. A dire la verità, non solo la danza poneva pro- blema, ma ancora di più la for- mazione stessa che prevedeva almeno 1001 giorni di disciplina comune sotto la guida severa e ferma di un maestro 3 . Per tre anni, i dervisci danzanti vivevano in comunità, e i novizi erano for- mati nelle grandi cucine del con- vento di Konya, l’antica Iconium di San Paolo. Con la soppres- sione di tutti gli ordini sufi, è chiaro che questa disciplina ve- niva inesorabilmente a decadere e, insieme a questa, anche la classica e autentica formazione. La diaspora Un certo numero di dervisci la- sciò la Turchia e si rifugiò nei Bal- cani, a Cipro e in ultima istanza anche negli Stati Uniti. Un esem- pio su tutti: il gran maestro sufi dei Bektashi, compagine legata al corpo d’armata del sultano (i famosi giannizzeri), lasciò la Tur- chia per l’Albania e poi si ritirò negli Stati Uniti dove ancora oggi si trova un centro importante. Altri ordini sufi, come i Naqsh- bandî riuscirono a sopravvivere quasi indenni perché il loro modo di formazione non richie- deva una visibilità particolare. Di fatto, questo gruppo è quello che permane ancora oggi in Tur- chia e altrove come uno dei più influenti di tutto il mondo sufi al- l’interno dell’universo musul- mano. La legge del settembre del 1925 varata dalla Grande Assemblea di Turchia e applicata a partire dal dicembre seguente, preve- deva addirittura il carcere per tutti coloro che tentassero la ria- pertura di uno degli spazi sufi Si capisce allora perché il sufismo in Turchia, come in molti altri paesi (l’Egitto nella sua storia re- cente, ma anche l’Algeria) viva in una specie di libertà vigilata. È il tentativo di ridurre le potenziali scalfitture che la presenza degli ordini sufi potrebbero procurare, seppur minimamente, a quell’i- dea monolitica dell’unità della massa musulmana che vuole es- sere l’immagine dell’unicità di- vina. È quindi, il sufismo, un criterio ermeneutico importantissimo per capire il modello di islam che vuole imporsi sugli altri, e finan- che un paradigma teologico che plasma la società. Tuttavia, il su- fismo è sospetto anche nei re- gimi laicisti perché tacciato di es- sere tradizionalista e conserva- tore. Questa libertà vigilata im- posta al sufismo è forse segno della sua libertà dottrinale e della vitalità irriducibile degli or- dini sufi. Alberto Fabio Ambrosio Note 1 - Cfr. Alberto Fabio Ambrosio, Vita di un derviscio. Dottrina e rituali del sufismo nel XVII s. , Carocci editore, 2014; id., Soufis à Istanbul. Hier et aujourd’hui , Parigi, Les Editions du Cerf, 2014. 2 - Cfr. Alberto Fabio Ambrosio, L’islam in Turchia , Carocci editore, 2015. 3 - Cfr. Alberto Fabio Ambrosio, Der- visci. Storia, antropologia, Mistica , Carocci editore, 2011. (conventi, tombe, complessi) presenti sul territorio di Turchia. La legge prevedeva non solo il carcere, ma anche una salata multa. In certi casi si imponeva il confino e l’esilio, come nel caso del celebre maestro sufi Said Nursî (m. 1960), che fu osteg- giato durante tutta la sua vita. Non va però taciuto che il nu- mero di conventi sufi nella sola città di Istanbul alla vigilia della soppressione, ha un che di in- quietante: ce n’erano più di tre- cento. Questo elevato numero indica che la compagine degli or- dini godeva di un impatto note- vole, sia dal punto di vista geo- grafico che politico. In stato di libertà vigilata Il caso della Turchia è sicura- mente uno dei più significativi nella storia dell’islam, perché i sufi, oltre ad essere osteggiati da un punto di vista prettamente religioso nei secoli precedenti il XX, a partire dal 1925 subirono una nuova persecuzione origi- nata da un’ideologia secolarista e laicista, che vedeva nella reli- gione solo un mezzo per regolare la società civile. Il fatto che il go- verno si trovasse a scontrarsi con diversi Ordini sufi era un vero e proprio impedimento nella ge- stione sociale dell’aspetto reli- gioso. Per questo gli ordini sufi furono soppressi e fu istituito un ministero per gli affari del culto (Diyanet). Rogiro/Flickr.com

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