Missioni Consolata - Novembre 2015

Anita Bari, responsabile del progetto Terragiusta di Medici per i diritti umani, che fa presidio sani- tario e monitoraggio nei ghetti della Basilicata. Chiamano i migranti accampati nel presidio «No Border» di Ventimiglia. Chiamano i volontari ita- liani che sono già passati di qui, da questo micro- progetto che per il quarto anno consecutivo porta le voci del Ghetto a comunicare tra loro, e con l’e- sterno. Passano dalla radio quasi tutti i bianchi che en- trano ed escono, tranne quelli interessati solo alle prostitute. Ricercatori, musicisti, gli attivisti di «Campagne in lotta» che cercano di organizzare manifesta- zioni con i lavoratori. I volontari di «Io ci sto», il progetto dei missionari scalabriniani che durante l’estate porta cinquanta ragazzi a settimana a in- segnare italiano e riparare biciclette, sotto l’uli- veto all’ingresso del ghetto. «Ma è da noi che deve venire la voglia di ribellarci, e non dai bianchi», ribadisce al microfono Adama, che di rivolte ne ha già fatte, al centro di acco- glienza di Crotone e nelle baraccopoli di Rosarno, e i diritti se li è visti scappare dalle mani proprio quando gli sembrava di stare per afferrarli. «Non dobbiamo avere paura», gli fa eco Mamadou. «Io ho visto uccidere i miei genitori. Ho visto Agadez, ho visto il deserto, ho visto le carceri libiche. Io non ho più paura». Giulia Bondi N OTA : i nomi degli abitanti del Ghetto sono di fantasia. 36 MC NOVEMBRE 2015 Sopra : baracche di varie dimensioni e scene di vita al Ghetto. | Sotto : il punto d’acqua potabile, approvvigionato dalla Regione Puglia. © Giulia Bondi © Giulia Bondi

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