Missioni Consolata - Novembre 2015
32 MC NOVEMBRE 2015 madou a lavorare di mannaia, per fare a pezzi la pecora che più tardi Maimuna bollirà. D’inverno, Mamadou vende le torri pendenti ai turisti, a Pisa in piazza dei Miracoli. D’estate spacca le ossa de- gli ovini al gran Ghetto di Rignano Garganico. La chiamano tutti così la baraccopoli, a soli quin- dici chilometri dal centro di Foggia, che dà allog- gio a circa duemilacinquecento braccianti. Sono quasi tutti dell’Africa occidentale francofona, la- vorano nella raccolta del pomodoro e degli altri prodotti delle campagne della zona. I braccianti vivono in baracche di plastica e car- tone. Si alzano presto la mattina, i primi anche alle tre, per aspettare i «capi neri», i caporali che fanno da intermediari con le aziende agricole della zona, organizzano le squadre di lavoro e le trasportano su vecchi furgoni scassati, quasi sem- pre rubati, spesso con targhe bulgare o rumene. Le pecore e i caproni che i macellai comprano da un pastore poco distante, vivono pure loro al Ghetto, almeno gli ultimi giorni della loro vita. Stanno legati per una zampa in recinti a cielo aperto, con le pareti fatte di vecchie porte e fine- stre di legno, recuperate da discariche e robivec- chi. Qualcuna tenta di scappare, ma nessuna, alla fine, sfugge al boia, che arriva con la coca cola in una mano e il coltellaccio nell’altra, e non rinuncia a rispondere al cellulare nemmeno quando ha da- vanti la pozza di sangue appena uscita dalla giu- gulare della bestia. Tutto quello che si potrà, finirà mangiato. Le ossa serviranno a fare il brodo. La pelle scuoiata gia- cerà ammucchiata su una delle tante cataste di ri- fiuti che nessuno dei comuni circostanti - Foggia, Rignano Garganico, San Severo - accetta di venire a raccogliere. I residenti del ghetto finiscono per bruciarle quasi ogni giorno: al puzzo di carcassa subentra quello di diossina e si libera spazio per la spazzatura dell’indomani. Vita in baraccopoli Prima di essere buttato, quasi tutto è stato riuti- lizzato e riciclato fino all’inverosimile. Le bottiglie di plastica della minerale si riempiono decine di volte dalle grandi taniche dell’acqua potabile, che a loro volta sono riempite da una cisterna, ogni mattina (pagata dalla Regione Puglia). Le botti- gliette dei detersivi o delle bibite servono an- ch’esse per l’acqua, quella non potabile, da usare per lavarsi. La si attinge a uno dei tre punti di rac- colta installati tra le baracche, circondati sempre da fango fresco e rozze canaline di scolo per con- tenere gli allagamenti. Quando qualcuno si allontana verso i campi, con in mano un flacone verde che era stato di Nelsen piatti, sta quasi certamente andando a pregare, prostrato nella polvere, dopo le abluzioni rituali. Oppure a defecare, nei campi o negli uliveti, dato che i venti wc chimici installati all’ingresso del ghetto vengono puliti, da un uomo con un furgon- cino cisterna e una pompa d’acqua, soltanto ogni due giorni (sempre a carico della Regione). Esiste da circa vent’anni, ed è cresciuta ogni sta- gione con nuove abitazioni di fortuna, la spettaco- lare baraccopoli nota a tutti come il Gran Ghetto. Non è la sola città temporanea a dare riparo ai braccianti del Sud. Senza andare lontano, altri in- sediamenti di fortuna ci sono a Borgo Mezzanone e Borgo Tre Titoli in Puglia, o a Boreano in Basili- cata. Nei dintorni del Gran Ghetto quasi tutti i casolari, costruiti negli anni della riforma agraria e poi ab- bandonati, sono abitati, durante l’estate, dai brac- cianti impegnati nei lavori stagionali. Delle barac- copoli, il Gran Ghetto è la più grande, certamente tra le più longeve e sviluppate. Rimane abitata e in funzione anche per una parte dell’inverno per chi, oltre alla raccolta del pomodoro, lavora alla ven- demmia o a quella delle olive. E molti braccianti arrivano già dalla primavera, per le verdure di serra, gli asparagi o i peperoni. Da un anno all’altro, la plastica delle serre si rici- cla come copertura delle baracche. Chi sa co- struirle è in grado di metterne in piedi una piccola nel giro di un paio di giorni. Uno scheletro di le- gno e le pareti di cartone. E un tessuto connettivo fatto di vecchi tubi da irrigazione, su cui piantare migliaia di chiodi che, oltre a tenere insieme la struttura, servono ad appendere sacchi e zainetti per salvarli dalla polvere. Quando non raccolgono, i braccianti battono le campagne in cerca di mate- riali di scarto utili alla costruzione delle baracche. Ce ne sono da otto o dieci posti, ma anche da trenta o quaranta, di proprietà dei caporali, che nella loro offerta logistica includono anche il luogo in cui dormire. Trenta euro, un materasso per l’in- tera stagione, con altri sette una rete a molle. Sul modello base di baracca ci sono decine di va- rianti: doppio controsoffitto in cartone, per iso- larsi dal caldo straziante, e dal freddo che arriva già nelle notti di fine estate; oppure rivestimento di vecchie lenzuola, per rendere l’interno più ac- © Af Radio Ghetto
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