Missioni Consolata - Novembre 2015

NOVEMBRE 2015 MC 27 Ci riceve il direttore del centro, Sebastiano Mac- carrone, il quale ci spiega che molti degli ospiti, prima di arrivare in Europa, avevano lasciato il proprio paese per trovare lavoro in Libia. Molti, ne- gli anni precedenti la «primavera libica» che ha ro- vesciato il regime di Muammar Gheddafi nel 2011, si erano ben inseriti a livello professionale e sociale. Con lo scoppio della rivolta, tuttavia, sono iniziati i problemi: persecuzioni a causa del colore della pelle, lavoro forzato, violenze, prigionia, stupri. A migliaia, nel 2011, sono fuggiti verso le coste ita- liane, cercando salvezza dalle aggressioni sistema- tiche da parte di bande di militari di fazioni diverse: era l’«emergenza Nordafrica». Un’immigrazione di massa straordinaria ma prevedibile, vista la situa- zione di guerra civile in Libia. All’emergenza delle persone immigrate nel paese nordafricano per scappare da guerre e persecu- zioni si è affiancata, nei mesi e negli anni successivi, e fino ad oggi, un’altra forma di fuga: quella delle vittime del lavoro in schiavitù. È gente che viene costretta a pagare per andarsene o che è costretta a salire sui barconi da sfruttatori che, dopo averli utilizzati come manodopera gratuita, al momento di retribuirli, consegnano 2.000 euro agli scafisti per sbarazzarsi di loro. Molti di quelli che ora rag- giungono le coste della Sicilia su gommoni scassati sono ancora lavoratori africani che fuggono dalla Libia post-Gheddafi. Altri, invece, si sono trovati a transitare nel paese nordafricano per tentare di passare in Europa. Tutti, indistintamente, sono fi- niti nelle mani di bande armate che li hanno cattu- rati, picchiati, sfruttati, violentati e poi imbarcati a caro prezzo. «Arrivano tutti dal caos libico - sottolinea il diret- tore del Cara Maccarrone -, perché con gli altri A nche noi torniamo a parlare di migranti - sia profughi che migranti economici - dopo una drammatica estate di arrivi in Europa di decine di migliaia di persone dal vicino Oriente (Siria, in primis), dall’Africa, ma anche dall’Asia. L’Europa, divisa e litigiosa, si è letteralmente liquefatta davanti al problema. In queste pagine affrontiamo la questione con due reportage, un’analisi delle cause e un commento. Il primo reportage è dal Cara di Mineo, la struttura in provincia di Catania, dove vengono accolti migliaia di migranti in attesa di identificazione. Il secondo viene dalla Puglia dove molti migranti sono impiegati nei lavori agricoli, quasi sempre in condizioni disumane. L’analisi di Maurizio Pallante esamina le cause delle migrazioni evidenziando un fatto mai preso in esame: è il modello economico della crescita infinita - spiega l’autore, teorico della decrescita - che produce spostamenti di popo- lazioni. Infine, il nostro collaboratore Gian Carlo Caselli, nella sua veste di presidente del comitato scientifico dell’«Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare», affronta il tema delle agromafie e del caporalato. Passando dal pomodoro «made in China» allo sfruttamento di donne e uomini, in particolare extracomunitari, nelle campagne italiane. la Redazione Questo dossier paesi del Nordafrica, come la Tunisia e il Marocco, abbiamo accordi bilaterali in base ai quali chi ar- riva da lì in Sicilia viene rimandato indietro. Il pro- blema con la Libia è che manca un governo cen- trale con cui fare accordi. I migranti partono da vari porti. La vera questione è politica ed è interna- zionale: bisogna che i responsabili del colonialismo in Africa - principalmente Francia, Gran Bretagna e Usa - si occupino di questa drammatica situa- zione. L’Italia sta facendo un enorme sforzo». Il direttore Maccarrone ci fa accompagnare nelle strutture del campo da una mediatrice, una gio- vane marocchina poliglotta. Sono terribili le storie che ci raccontano i rifugiati sulle condizioni di trat- tamento in Libia: descrizioni dettagliate di ridu- zione in schavitù e di violenze, possibili grazie al caos politico e sociale in cui è precipitata la Libia «post-primavera». Un paese senza un governo cen- trale - ne ha due, rivali, a Tobruk e Tripoli - e con milizie armate dovunque, Isis compreso. Le donne dell’Africa subsahariana che si trovano a transitare in Libia vengono stuprate, portate nelle case dei ricchi e abusate. Ragazzi e uomini sub- iscono ogni sorta di violenze nelle carceri, che pe- riodicamente vengono «ripulite» mandandoli sui barconi a morire in mare. Jean Baptiste ha 22 anni e viene dalla Costa d’Avo- rio: è uno dei sopravvissuti al naufragio dell’aprile 2015 che uccise 800 persone. «Ho viaggiato da Tri- poli all’Italia in un barcone. Avevo lasciato il mio paese all’inizio del 2014 per cercare un lavoro digni- toso in Libia. Lì i lavoratori immigrati li pagavano bene, ma a me è andata diversamente: sono finito L’entrata del Cara di Mineo, in provincia di Catania. DOSSIER MC POMODORI NERI

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=