Missioni Consolata - Novembre 2015
REPORTAGE 1 / AL CARA DI MINEO (CATANIA) VOLTI E STORIE DAL VASODI PANDORA DI A NGELA L ANO Un tempo era il villaggio residenziale dei soldati statunitensi di Sigonella, oggi è il «Centro acco- glienza richiedenti asilo» (Cara). Famoso e controverso (anche per alcuni gravi fatti di cronaca), lo abbiamo visitato parlando con chi vi lavora e con chi vi è ospitato. C atania, estate 2015. Al mattino presto ci rechiamo in una via vicino alla stazione fer- roviaria, dove sono parcheggiate diverse auto con a bordo immigrati dell’Africa sub- sahariana. Sono tassisti abusivi che trasportano i rifugiati ospiti del Cara - Centro accoglienza richie- denti asilo - da Mineo a Catania, per le spese e altre commissioni giornaliere. Dopo aver contrattato il prezzo del passaggio, saliamo a bordo di un vecchio veicolo, pieno di persone. Mineo dista un’ora da Catania. L’autista, Amin, un senegalese di 42 anni, ci racconta che talvolta lui e i suoi colleghi vengono fermati dalle forze dell’or- dine, e multati per eccesso di passeggeri. Per il re- sto, nessuno dice nulla. Sono tre anni che fa questo lavoro e inizia a essere stanco: troppi rischi per via delle auto scassate, e poco guadagno. Sono in troppi a contendersi i viaggi da e verso il Cara: di- ciotto auto che lavorano dal mattino alla notte. I tassisti sono prevalentemente nigeriani, libici o se- negalesi come Amin. Il Cara è allestito nell’ex villaggio residenziale dei soldati statunitensi di stanza a Sigonella: un’ampia area nel «deserto» catanese, distante 10 km da Mi- neo, delimitata da filo spinato e controllata da eser- cito e polizia. Si entra e si esce solo con i permessi. Mentre aspettiamo l’autorizzazione a visitarlo, di- versi ragazzi escono per raggiungere Catania o le aziende agricole attorno. La permanenza nel campo dovrebbe essere di circa sei mesi - in attesa del processo per lo status di rifugiato -, ma molti vi rimangono anche un anno o più. Sono circa 3.000 i richiedenti asilo attualmente presenti nel Cara: arrivano dalla Nigeria, dal Gam- bia, dal Mali, dal Senegal, dal Ghana, dalla Costa d’Avorio, dalla Guinea Bissau, dalla Somalia, dalla Sierra Leone, dal Niger, dall’Egitto, dalla Libia, dal- l’Eritrea, ma anche da paesi non africani come il Pakistan e il Bangladesh. Per alcuni migranti lo sta- tus di profugo non arriverà mai, poiché, di fatto, non giungono da un paese in guerra o non possono dimostrare di essere perseguitati. In Libia, con e dopo Gheddafi Il campo è costituito da diverse case a schiera dis- poste su viali paralleli e da altre strutture adibite a mensa, moschea e chiesa, laboratori, uffici, scuola, ambulatorio, lavanderia, ecc. È organizzato con un esercito di operatori: sono 400 tra mediatori, assi- stenti sociali, medici, psicologi, avvocati, addetti alla mensa e alle pulizie. © Angela Lano
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