Missioni Consolata - Ottobre 2015
OTTOBRE 2015 MC 53 C’ è qualcosa di inevitabile nella distruzione delle società tribali? Quello che sta accadendo oggi nei territori Ya- nomami dell’Amazzonia brasiliana - furto delle terre, estrazione indiscriminata di minerali pregiati, sfruttamento sel- vaggio delle risorse idriche e della biodiversità - fa sorgere que- sta domanda. I governi brasiliani e gli amministratori locali di Roraima hanno sempre spiegato (e giustificato) questa situa- zione come una conseguenza secondaria dello sviluppo e del progresso. Quando, nel gennaio 2015, sono arrivato a Roraima e a Boa Vi- sta, avevo una sorta di pregiudizio che considerava l’estinzione degli Yanomami come una condizione tragica ma inevitabile. In effetti, una lotta impari sta portando gli Yanomami a modifi- care rapidamente la loro esistenza, passando da un isolamento millenario a indossare i nostri abiti, acquistare telefoni di ultima generazione, guardare la tv satellitare nel mezzo alla foresta. Si tratta di un processo di implosione e di «evoluzione sociale» - inconsapevole, incontrollato e forse oscuramente «pilotato»-, che sta modificando e distruggendo tradizioni e abitudini di vita. L a terra è da sempre il cuore del conflitto e dello sterminio del popolo yanomami che, fino a qualche generazione fa, conosceva la nostra esistenza solo grazie ai contatti con i missionari. Uno di loro, tra i pochi superstiti di una generazione probabilmente eroica, è fratel Carlo Zacquini, missionario della Consolata. Da quasi 50 anni Carlo vive a contatto con la realtà indigena e per questo era la miglior guida possibile nell’area del Catrimani. Lungo i percorsi fluviali, durante gli spostamenti tra i villaggi e durante le serate trascorse insieme sotto la tettoia della missione, ho ascoltato dalla sua voce racconti emozio- nanti di anni vissuti tra gli indigeni, dai primi contatti fino alla costruzione e allo sviluppo della missione. Attraverso i suoi rac- conti ho ripercorso la storia degli ultimi anni degli indios del Ca- trimani, le leggende, gli aneddoti, le tradizioni, le difficoltà in- contrate e i momenti difficili. Fratel Carlo rappresenta un parte importante della memoria storica degli ultimi decenni del po- polo yanomami del Brasile. Un testimone vivente la cui esi- stenza è stata dedicata alla causa indigena. Parte del lavoro suo e di altri missionari è raccolto e custodito in maniera precaria a Boa Vista. Due piccole stanze - soggette alle intemperie e sotto la minaccia costante dell’umidità e delle termiti - raccolgono anni di immagini, giornali, carteggi, libri, testimonianze, oggetti della cultura yanomami. Un patrimonio inestimabile che, con fatica, fratel Carlo cerca di difendere, preservare e accrescere. Nella speranza che possa diventare un giorno un punto di riferi- mento per gli indigeni, i giovani missionari, gli studiosi, i ricerca- tori e la gente comune. I l mio timore di una lenta contaminazione degli Yanomami ha trovato riscontri concreti durante la mia pur breve perma- nenza tra loro: operatori dei punti di salute disinteressati alla causa, strutture di supporto e personale inadeguato. Tuttavia, l’aver visto le loro vite integrate con i ritmi della foresta e fatte di straordinaria umanità, mi ha anche aperto la strada verso una più ampia visione del futuro: lottare per la causa Yanomami dando supporto a quanti di loro, attraverso il principio di auto- determinazione e autodocumentazione, si stanno attivando per sensibilizzare altri Yanomami e per cercare di essere preparati ad affrontare le sfide portate dall’invasione occidentale. Di certo, sono molte le domande senza risposta. Cosa sarà degli Yanomami (come di molti altri popoli indigeni del mondo) in un futuro nemmeno tanto lontano? Cosa possiamo fare noi per contribuire alla loro lotta? Quanti sono a conoscenza della loro esistenza, dei drammi e dei pericoli per la loro stessa sopravvi- venza? Da ultimo, cosa sarà delle testimonianze e dei materiali raccolti e custoditi dai missionari? Daniele Romeo Indigeni e mondo dei bianchi / 2 Sopravviveranno alle contaminazioni? stata invasa da fazendeiros e, mentre spiegavo loro che i bianchi non avevano diritto di rimanere nella loro terra, dicevano che andando via loro avrebbero fatto la fame. “Chi ci darà il riso?”, do- mandavano. I fazendeiros davano loro riso in cambio di lavoro e servizi. Non si rendevano conto che in passato non avevano mai avuto bisogno del riso. Soltanto col tempo esso era diventato una necessità». La devastante corsa all’oro «Quel che andava per la maggiore, a Roraima, erano i giacimenti di diamanti nelle regioni della savana o di montagna abitate da altri indios. C’e- rano molte leggende sul fatto che le persone più ricche e più importanti fossero quelle che com- merciavano in pietre preziose. Si parlava molto di un tale che aveva un piatto pieno di diamanti sul tavolo da pranzo… Non so cosa ne facesse, ma im- magino che li usasse per pavoneggiarsi. Successi- vamente i diamanti iniziarono a passare in se- condo piano, sia perché l’oro cominciò ad avere un prezzo più conveniente sia perché furono scoperti DOSSIER MC L’INCONTRO © Daniele Romeo / 2015
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