Missioni Consolata - Ottobre 2015

L a storia della Missione Catrimani può contribuire a get- tare luce sulle vicende più recenti relative alla conqui- sta dell’Amazzonia e sul modello di convivenza possi- bile tra indigeni e mondo dei bianchi. Ci ricorda, ad esempio, che i protagonisti dell’epopea della conquista furono uomini che inseguivano promesse ingan- nevoli, come quella contenuta nello slogan «terra senza gente, per gente senza terra!», dietro alla bandiera illusoria di un progresso che non sarebbe mai stato per loro. È a que- sti avventurieri che inizialmente si associarono i missionari per realizzare la propria opera in terra amazzonica, ovvero portare il Vangelo a popoli allora considerati selvaggi e senza Dio. Benché il suo territorio fosse stato raggiunto dalla «Commis- sione nazionale per l’ispezione delle frontiere» già nel 1927, nei primi anni ‘60, quando il desbravamento (colonizzazione) del Brasile centrale era già stato completato, Roraima ospi- tava ancora indios non contattati come i Vaikà (nome dis- pregiativo dato agli Yanam, sottogruppo yanomami). I missionari della Consolata, catapultati in quell’ambiente ostile e sconosciuto, non avevano altra scelta se non quella di mettersi al seguito degli «invasori»: come il cacciatore di pelli Joãozinho, che risalendo il rio Ajaraní, aveva «scoperto» gli Yanam e i raccoglitori di gomma che invitarono padre Bindo Meldolesi ad accompagnarli in un viaggio sul rio Catri- mani dove avevano individuato gruppi di indios. Già nella spedizione successiva al Catrimani, organizzata dallo stesso Meldolesi e da padre Calleri nel 1965, i missio- nari rinunciarono ad appoggiarsi a intermediari «bianchi». Individuata la sede per la missione, i due padri iniziarono a preparare la pista di atterraggio, che sarebbe stata inaugu- rata nel 1967 con un volo dell’aereo della Diocesi di Ro- raima, avvenimento documentato fotograficamente da pa- dre Silvano Sabatini, al tempo amministratore della Conso- lata in Brasile. I n pochi anni, tra il ‘65 e il ‘68, i missionari della Consolata, anche grazie al nuovo metodo di approccio stimolato dal Concilio Vaticano II che li portò alla costituzione della prima equipe diocesana di pastorale indigena del Brasile, la Commissione Pro-Indio (Coprind), passarono dall’idea di in- tegrazione a quella di avvicinamento graduale degli indios alla società bianca, incarnata dal progetto di «pacificazione» dei Waimiri Atroari. Nello stesso periodo, la Coprind elaborò anche un primo progetto di demarcazione di riserve indi- gene nell’area yanomami, che preludeva a quello di crea- zione del Parco Yanomami presentato dalla Ong Ccpy nel 1978 e poi ufficialmente approvato nel 1992. Per Sabatini, allora presidente della Coprind, quello fu il mo- mento d’oro della Consolata a Roraima: la Missione Catri- mani venne ampliata con l’invio di due giovani missionari, fratel Carlo Zacquini e padre Giovanni Saffirio e la Commis- sione avviò una collaborazione proficua con i vertici della Fu- nai, il nuovo organo indigenista appena creato, che però sa- rebbe durata poco. La realizzazione della Perimetrale Nord, nel 1971, inaugurò l’invasione massiccia del territorio yano- mami, aprendo la strada ai cercatori d’oro. L’ambiguità della Funai che soccorreva i superstiti senza cercare di impedire l’invasione (come poi avrebbe fatto nel caso dei Waimiri- Atroari), sfociò in uno scontro aperto con la missione che Indigeni e mondo dei bianchi / 1 Esiste una strada per la convivenza? durò vari anni. Malgrado le pressioni e le minacce della nuova presidenza della Funai, retta per più di un decennio dai militari, l’equipe del Catrimani rimase a fianco degli indios, stimolando il mantenimento delle istituzioni culturali indigene come la ma- loca e la pratica dello sciamanesimo, tanto che la Conferenza nazionale dei vescovi definì quella di Catrimani come «espe- rienza missionaria profetica» del Brasile. N ella storia della Missione Catrimani, padre Silvano Saba- tini è stato un protagonista, pur non essendo stato uno specialista di cultura yanomami. Sin dai primi contatti con gli indios, le sue intuizioni sono state segnate da una grande libertà di pensiero e dalla capacità di sospendere il giu- dizio anche di fronte a pratiche facilmente condannabili - se- condo il nostro sistema di valori - come l’infanticidio o la guerra, giungendo a conclusioni radicali e illuminanti per il modo in cui il missionario dovrebbe approcciare contesti cultu- rali altri: «Non ha senso battezzare l’indio fuori dalla comu- nità… Il missionario deve “essere Cristo” invece di nomi- narlo…». Sabatini si è spinto anche oltre. Avventurandosi nel territorio caro agli antropologi, egli ha riconosciuto il ruolo fondamentale giocato dai leader indigeni (come Gabriel Macuxi e Davi Yano- mami) come «mediatori dell’alterità», in quanto figure «di con- fine» in grado di tradurre la nostra cultura all’interno del pro- prio gruppo e di operare una rielaborazione della cultura indi- gena il più possibile rispondente alle esigenze dell’immaginario occidentale dominante, per renderla intellegibile all’esterno e «attuale», garantendole così il diritto di continuare a esistere. E ancora, Silvano Sabatini e la Missione Catrimani hanno dimo- strato come solo la piena legittimazione dei valori delle culture altre possa oggi dare nuovo senso non solo alla pratica missio- naria ma, più in generale, alla nostra stessa cultura occidentale, che ha bisogno, questa sì, di una «nuova evangelizzazione» se vuole gettare le basi per una convivenza pacifica con l’Altro. Silvia Zaccaria DOSSIER MC L’INCONTRO © Daniele Romeo / 2015

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