Missioni Consolata - Ottobre 2015

34 MC OTTOBRE 2015 mitologia. In una ricerca affannosa nelle librerie di Roma e nella biblioteca della Gregoriana, venni a conoscenza della mostruosa e vera storia della «scoperta» dell’America. Brandendo la croce e la spada Solo in Brasile furono massacrati sei milioni di in- dios, decine di milioni furono sterminati nell’Ame- rica Latina, fatti a pezzi dalle spade, dai fucili, dalle malattie, dalla fame, dalla schiavitù... sacrifi- cati dal progetto colonialista all’ingordigia insa- ziabile dei conquistatori, bramosi di metalli pre- ziosi, legni pregiati, terre e perfino di letame. Spa- gnoli e portoghesi, brandendo la croce e la spada, dopo il diluvio, furono responsabili del maggiore genocidio della storia dell’umanità. Durante i miei anni a Roma, venne pubblicato Ritorno alla ma- loca (1972) in cui Sabatini raccontava la situazione umiliante e disperata degli indios cristianizzati delle praterie di Roraima. Pochi anni prima (1968) l’antropologo statunitense Napoleon Chagnon, con il suo libro Yanomamö. The Fierce People , aveva rivelato al mondo l’esistenza degli Yano- mami, dandone però una descrizione fuorviante: nel cuore dell’Amazzonia esiste un popolo isolato e «primitivo» che racchiude il «gene della guerra». Come non vedere il contrasto tra gli Ya- nomami di Chagnon e quelli della Missione Catri- mani descritti in due filmati - Un giorno tra gli In- dios e Indios miei fratelli - di padre Gabriele Sol- dati, un altro missionario della Consolata? Nel contesto post conciliare, così come la «Commis- sione Pro Indio» della Prelazia di Roraima già aveva fatto negli anni ‘60, la croce della chiesa missionaria dell’America Latina cercava di svinco- larsi dalla spada, dal progetto coloniale e colonia- lista, tracciando nuove strade per l’evangelizza- zione degli indios. In particolare, il Cimi (Consi- glio indigenista missionario) fu la locomotiva che condusse la Chiesa cattolica brasiliana in rotta di collisione col potere integrazionista e distruttivo dello stato e con interessi economici e politici a tal punto che la testa di dom Aldo Mongiano, vescovo di Roraima, sarà posta come «premio» in una ra- dio locale di Boa Vista. «Il Dio dei bianchi è cattivo» Con questo bagaglio culturale nell’ottobre del 1979 arrivai a Roraima, alla missione di Surumú, un centro di formazione di leader di indios delle pra- terie e delle montagne. Indigeni che, dopo centi- naia di anni di convivenza col mondo «civilizzato», stavano perdendo la lingua, la religione, l’identità e le terre, una realtà che portò Viriato Makuxí, protagonista del libro di Sabatini, a concludere: «... il Dio dei bianchi è cattivo». Nel gennaio dell’81, dopo un viaggio di 300 chilo- metri lungo la strada Br 174 (costata la vita a pa- dre Calleri e la decimazione degli indios Waimi- ris), e la Br 210 (Perimetral Norte), recentemente costruita dal governo militare, attraversando fore- ste già devastate da coloni e innumerevoli fiumi e fiumiciattoli ( igarapé ), al tramonto arrivai alla Missione Catrimani, mia nuova casa per i succes- sivi 20 anni. Anche se psicologicamente prepa- rato, fui invaso da stupore, emozione e allegria. Mi vidi accerchiato da volti allegri e ciarlieri, pit- turati di rosso, con capelli neri a caschetto, ba- stoncini e penne variopinte infilate nel setto na- sale, nelle orecchie e nelle labbra; da uomini col labbro inferiore gonfio per il tabacco, vestiti con un cordoncino di cotone, in piedi, appoggiati ad archi e frecce oltre misura; da donne, con piccoli perizomi rossi di cotone, sedute per terra con le gambe incrociate, bambini attaccati al seno e so- stenuti dalla tipoia (striscia di corteccia messa a tracolla e pitturata di rosso, ndr ). Alla sera, parte- cipai alla prima celebrazione. La cappella, fatta di tavole di legno, ampia 1 x 4 metri, annessa a un deposito, era certamente la più piccola del mondo: una presenza discreta, una semente nel cuore del mondo yanomami. Padre Tullio Martinelli presie- deva con una piccola stola. Era presente anche fratel Carlo Zacquini con minuscoli calzoncini neri, a torso nudo, con la schiena coperta di san- gue raggrumato, frutto di migliaia de punzecchia- ture di insetti. Non ricordo i testi biblici di quella messa perché nella mia testa martellava l’inizio del Vangelo di Giovanni: «...e la parola si è fatta carne ed è ve- nuta ad abitare in mezzo a noi...». Al mattino seguente visitammo la comunità dei Wakatha-u-theri (che significa armadillo gigante- fiume-abitanti). Entrammo nella loro yano (ma- loca), la grande casa comune, una enorme strut- tura conica con copertura di foglie di ubim (una specie di palma, ndr ), con pali e liane. All’interno un grande spazio vuoto illuminato dall’alto da una piccola apertura e, alla periferia, il circolo dei fuo- chi accesi con amache di cotone stese a triangolo. Un bambino di circa sei anni, Xaí, con un sorriso accattivante, mi prense la mano e mi condusse, in- dicando un fuoco e dicendo «Wakè a», e io risposi sorridendo «Uakeà, fogo». A causa del mio petto carenato (gabbia toracica con protrusione ante- riore dello sterno, ndr ), in poco tempo mi battez- zarono: Hewësi Par+ki , ossia «pipistrello petto», poi abbrevviato in Hewësi . Divenni così membro di quella famiglia, pronto, come ogni «buon yano- mami», a morire o uccidere per difendere il gruppo. Con profonda soddisfazione mi rendevo conto di testimoniare uno stile nuovo di missione: una mis- sione senza la cappella al centro. Il centro della Missione Catrimani era la yano , la maloca, sim- bolo della sopravvivenza fisica e culturale degli Yanomami, un popolo, con lingua, identità e terra. Oggi, guardando indietro, posso dire che tutti i missionari della Consolata che hanno lavorato anni alla missione Catrimani - dai fondatori (Gio- vanni Calleri e Bindo Meldolesi) ai successori (Carlo Zacquini, Giovanni Saffirio, Tullio Marti- nelli, André Ribeiro, Silvano Sabatini, le suore della Consolata, le laiche locali, italiane e del

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=