Missioni Consolata - Ottobre 2015

26 MC OTTOBRE 2015 Misericordia voglio ria, un Papa appena eletto non si presentato come «pontefice», ma come Vescovo di Roma e ha voluto mostrarlo in modo visibile perché nella Chiesa i sim- boli sono essenziali. Egli ha rinunciato alla «mozzetta rossa, ornata di ermellino», residuo della clamide rossa indossata l’imperatore come simbolo della sua autorità di massimo magistrato dello stato. Rinun- ciando all’indumento imperiale, il Papa rinunciava a presentarsi come «Sommo Pontefice», titolo riser- vato all’imperatore e simbolo del potere temporale. Non indossando la stola che di solito i Papi portano quando esercitano la loro funzione di capi di stato, il Papa si è offerto al suo popolo «nudo» come France- sco di Assisi e ha trasformato in un colpo solo il po- tere in servizio. L’ultimo gesto sconvolgente è stata la richiesta al popolo romano, cioè il «suo» popolo ecclesiale, d’in- vocare la benedizione di Dio su di lui vescovo, prima che questi benedicesse il popolo, dando corpo alle parole di sant’Agostino che nell’anniversario della sua ordinazione diceva ai cristiani di Ippona: «Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano» ( Sermones , 340, 1 PL 38, 1483). La sera del 13 marzo 2013 dalla loggia centrale del Vaticano non si è presentato il rappresentante del potere temporale, anche se sti- lizzato, il Papa-Re, anche se di un minuscolo Stato di 0,44 km 2 , ma «il servo dei servi di Dio». Non si è pre- sentato soltanto. Ne ha anche avuto coscienza. L’appellativo «Servus servorum Dei» fu utilizzato per la prima volta da Papa Gregorio I (1145-1241) in risposta al Patriarca di Costantinopoli Giovanni IV Nesteutés , che significa Digiunatore (582-595), che nel 587 aveva assunto il titolo di Patriarca «Ecumenico». Papa Grego- rio si definì «Servo di Dio» che nell’Amtico Testamento è un titolo onorifico, sinonimo di ambasciatore/rappre- sentante, e per sottolineare l’umiltà del ministero ag- giunse «dei servi di Dio», cioè il Popolo santo dei cre- denti. L’appellativo, per le circostanze in cui è nato, ha un richiamo esplicito al profeta Samuele: «Parla, Si- gnore, perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,9-10). LA MISErICorDIA nEL SAnGuE Francesco di Assisi andava in giro per la città predi- cando il Vangelo «sine glossa», cioè senza alcun commento, ma testimoniandolo con la vita e l’esem- pio e assumendo la povertà assoluta come misura della sequela di Cristo. Papa Francesco, che prende il nome del poverello di Assisi, si condanna da sé a es- sere inchiodato a una vita di austerità e povertà, an- che esteriore, perché quel nome non è un nome qualsiasi, ma quello di uno che «fece sul serio». Papa Francesco è coerente e due anni di servizio pe- trino lo dimostrano: egli è quello che appare e fa quello che dice (cf Mt 23,3). Nell’esortazione apostolica «Evangelii Gaudium», Papa Francesco scrive facendo eco al Santo suo ispi- ratore e facendo suo il metodo del «sine glossa»: «È vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano. Siamo molto chiaramente avvertiti: “Sia fatto con dolcezza e rispetto” (1 Pt 3,16), e “se possibile, per quanto di- pende da voi, vivete in pace con tutti” (Rm 12,18). Siamo anche esortati a cercare di vincere “il male con il bene” (Rm 12,21), senza stancarci di “fare il bene” (Gal 6,9) e senza pretendere di apparire superiori ma considerando “gli altri superiori a se stesso” (Fil 2,3). Di fatto gli Apostoli del Signore godevano “il favore di tutto il popolo” (At 2,47; cfr. 4,21.33; 5,13). Resta chiaro che Gesù Cristo non ci vuole come principi che guardano in modo sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Questa non è l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra altre possibili; sono indi- cazioni della Parola di Dio così chiare, dirette ed evi- denti che non hanno bisogno di interpretazioni che to- glierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole sine glossa , senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo» (EG, 271). Questo è l’uomo che ha indetto il Giubileo Straordi- nario della Misericordia, parola che segnava la vita di Bergoglio già prima di essere eletto. Quando nel 1992 era stato eletto Vescovo, secondo la tradizione come suo motto episcopale scelse il motto latino: «Miserando atque eligendo». La frase è tratta dalle Omelie di san Beda, detto il Venerabile (672-735), il quale, commentando l’episodio evangelico della vo- cazione di san Matteo, scrisse: «Vide Gesù un pub- blicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore [in latino: miserando = avendone misericor- dia] e lo scelse, gli disse: Seguimi» ( Omelia 21; CCL 122, 149-151). Non è più tempo di difendere i princìpi a forza di ma- nifestazioni o urla, oggi è l’umile tempo del sacra- mento della testimonianza con la vita, che è il vero martirio che il Vangelo chiede a quanti vogliono av- venturarsi per questa via, senza esaurirsi in una reli- giosità esteriore e di convenienza. Annunciando il Giubileo, Papa Francesco, come novello Giona, at- traversa la Ninive della storia, annunciano a tutti non la «Misericordia di Dio», ma che «Dio è Miseri- cordia». In questo modo egli resta fedele alla sua storia personale e alla sua vocazione, dando spazio alla Dimora/Shekinàh dello Spirito nella sua vita. Da Papa ha coscienza di doverne testimoniare la realtà davanti al mondo e davanti a chiunque incontri. D’altra parte anche Gesù ha iniziato il ministero pub- blico nella sinagoga di Nàzaret, scandalizzando i cul- tori del Dio «castigamatti», annunciando per tutti un Dio dal Volto non solo umano, ma amorevole e ca- rico di tenerezza e di amore a perdere: « 18 Lo Spirito del Signore è sopra di me; / per questo mi ha consacrato con l’unzione / e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,/ a proclamare ai prigionieri la liberazione/ e ai ciechi la vista;/ a rimet- tere in libertà gli oppressi,/ 19 a proclamare l’anno di grazia del Signore » (Lc 1,18-19). Ogni tempo è «anno di grazia» perché il tempo di ciascuno è diverso dal tempo degli altri, ma il tempo di Dio è sempre un « kairòs - occasione propizia» da afferrare, perché Dio ha tutta l’eternità per perdere il suo tempo con noi, suoi figli e figlie, oggi e domani. Sempre. Paolo Farinella, prete (1 - continua)

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