Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2015

AGOSTO-SETTEMBRE 2015 MC 57 telegiornali. C’è un disperato bi- sogno di pace. Come dice madre Teresa: «Se oggi non abbiamo la pace è perché ci siamo dimenti- cati che quell’uomo, quella donna, quel bambino è mio fra- tello o mia sorella». 08 Maggio 2015 La povertà è una realtà che turba la coscienza, viene istintivo cam- biare strada o girare la testa dal- l’altra parte. Qui però la povertà è talmente grande e diffusa che qualunque strada tu prenda, o dovunque giri la testa, la incontri. Un giorno ho accompagnato Ivo a fare la spesa in un negozio. Men- tre eravamo lì, è comparsa una si- gnora (un po’ fuori di testa) che ha iniziato a domandarci soldi. La scena è durata una trentina di mi- nuti: lei domandava soldi, noi ri- fiutavamo, lei continuava a do- mandare soldi. In una realtà come questa non è giusto dare a destra e a manca: oltre al fatto che non ce n’è per tutti, si rischie- rebbe di creare una mentalità di dipendenza. Fatto sta che, nono- stante fossimo nel «giusto», rifiu- tare di donare 10 centesimi a quella donna, mentre il bancone si riempiva di merce, mi ha, in un certo modo, infastidito. Forse perché mi risuonavano nelle orecchie parole come: «Ero affa- mato e non mi avete dato da mangiare», ma qui gli affamati li incontri ogni dieci metri. Se solo le ricchezze fossero inca- nalate nel modo giusto! La malaria, grazie a Dio, è passata e mi sono rimesso al 100%. Ora non potete immaginare cosa provo quando a Gajen incontro i bambini che soffrono di malaria, 25 Aprile 2015 Come dicono alcuni, «non hai vis- suto veramente l’Africa se non hai preso la malaria». Beh, ecco: ho ricevuto il battesimo dell’A- frica. Tornato da Neisu, dopo un paio di giorni, mi è salita una feb- bre da cavallo. La malaria è una malattia un po’ antipatica perché in certi momenti ti senti come in una sauna, in altri tremi dal freddo. Comunque sono andato all’ospedale per fare gli esami del sangue: la mattina ero in fase «tremo come una foglia», quindi immaginate la scena comica per tenermi fermo e prelevare il san- gue, poi sono entrato in fase «vulcano» mentre mi visitava la dottoressa. Per far scendere la febbre mi hanno fatto un’inie- zione, e io sono svenuto come una pera. A quel punto ho iniziato simpaticissime perfusioni di chi- nino: quattro ore per volta, per due volte al giorno, per due giorni. Consiglio vivamente la perfusione nella fascia oraria tra mezza notte e le quattro. Ad ogni modo, tra la dose di chinino e la valanga di farmaci presa, ora sto bene. Ho capito cosa provano i locali martoriati dalla malaria più volte l’anno. Immaginate chi ha a ma- lapena i soldi per i farmaci, o chi è solo. Moltissime persone, soprat- tutto bambini, di malaria muoiono. Penso che le migliaia di persone che ancora oggi, nel 2015, muoiono per malattie cura- bili (diarrea, malaria, febbre tifoide, ecc.) rappresentino uno scandalo enorme e un’ingiustizia. Eppure tutto tace, nessuno fa nulla, e la gente muore. È incredi- bile l’assenza dell’Africa nei nostri quando sento il loro corpo che scotta e vedo la stanchezza nei loro occhi. Non so se vi ricordate di Jefthen, un membro della banda bassotti di qualche tempo fa, guarito e rientrato a casa. Ho ricevuto la notizia che è morto: una volta tornato nel villaggio ha preso la malaria, lo hanno curato con le medicine tradizionali pensando che fosse un’infiammazione della milza (sintomo possibile della ma- laria nei bambini). Di conse- guenza la malaria è peggiorata velocemente e l’ha ucciso. Men- tre riguardavo foto e video del periodo in cui era a Gajen, non ci potevo credere che fosse morto, e ho provato un certo senso di rabbia nel pensare che era «morto per niente», che se aves- sero subito identificato e curato la malaria Jefthen sarebbe ancora vivo. Morire per colpa dell’igno- ranza è una cosa che proprio non riesco ad accettare, eppure qua è «normale»: in quasi tutte le fami- glie che ho conosciuto, almeno un figlio è morto in situazioni analoghe. Come direbbe padre Tarcisio: «Cosa non abbiamo vi- sto in 40 anni di Congo!». Anche io, in meno di un anno, ne ho vi- ste veramente tante. L’altra mattina è arrivato un ra- gazzo (23 anni) che cercava un donatore di sangue per suo figlio malarico. Era una specie di corsa MC ARTICOLI

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