Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2015

• Volontariato internazionale | Africa | Cooperazione | Ong • MC ARTICOLI che se non ortodossi secondo noi occidentali, anche se non facil- mente inquadrabili nei nostri schemi. Io ero aperto al loro modo di fare, e loro hanno “preso il po- tere”. Per me è stato molto bello, mi sono sentito responsabilizzato e al tempo stesso valorizzato e questo mi ha restituito la motiva- zione, che ormai pensavo di aver perso». Alberto, che è sul punto di abban- donare a causa dei comporta- menti dei colleghi italiani, decide di restare proprio grazie al rap- porto instaurato con l’équipe lo- cale. Con alcuni di loro rimarrà in contatto anche dopo il rientro in Italia, e aiuterà un giovane colla- boratore molto promettente a studiare in Europa. «Una persona molto in gamba. Lui è riuscito a valorizzare me per quella che era la mia apertura ai sistemi locali, e io ho valorizzato lui per quelle che erano le sue ca- pacità». I problemi invece ci sono con gli italiani. «Era vero e proprio mob- bing - sostiene Alberto -. Perché il rappresentante dell’Ong nel paese faceva da padre e padrone. Questo anche perché dall’Italia le attività in Etiopia erano seguite da una persona che non parlava l’inglese, che quindi non poteva neppure leggere progetti e rap- porti». Il rappresentante si era fatto largo a gomitate, aveva lavorato in condizioni eroiche, si era fatto una famiglia. In Italia l’Ong non sapeva niente, per cui l’Etiopia, per quella Ong, era identificata con quella persona che aveva le sue regole monolitiche. Tra esse c’era quella per cui il volontario che arrivava per primo doveva di- ventare il capo progetto. «Il mio collega diretto, arrivato sei mesi prima di me, era un gio- vane neolaureato. Il progetto da realizzare era in ambito veterina- rio. Per questi motivi il respona- bile ero io, ma a loro due questo non andava giù. Pur senza met- tersi d’accordo, tendevano sem- pre a fare rilevare la mia ineffi- cienza. Ovvio, ero arrivato lì e non mi avevano detto quasi niente. Non sapevo neanche i nomi dei villaggi. È stata un po’ dura all’inizio. Ma lo staff locale ha fatto tutta un’altra scelta. Alla fine è stata una bella esperienza per me». Alla scadenza del contratto c’è ancora la possibilità - e la neces- sità - di continuare, e l’Ong pro- pone un rinnovo ad Alberto, salvo poi fare dietrofront, sotto le pres- sioni dei due colleghi italiani. Un epilogo un po’ triste. Probabil- mente Alberto si è trovato in una situazione particolarmente sfor- tunata, perché normalmente le AGOSTO-SETTEMBRE 2015 MC 53 relazioni tra volontari espatriati, nei paesi più diversi e complessi, sono molto buone e costruttive. Un’idea, un libro Alberto rientra in Italia e riprende il suo lavoro di veterinario alla Asl di Domodossola. E intanto matura l’idea di scrivere un libro. Ma poi va oltre, con un’idea per il futuro del volontariato internazionale. «Quando ero in Africa scrivevo delle lunghe lettere a un indiriz- zario di diverse decine di per- sone, con le quali avevo condiviso l’impegno negli ambiti di com- mercio equo e finanza etica. Illu- stravo la situazione. Loro mi hanno sempre suggerito di pub- blicarle». Alberto inizia una collaborazione con l’Università di Pretoria (Suda- frica) che sfocerà poi in un master di ricerca per approfondire i me- todi tradizionali di cura dei pa- stori nomadi dell’Etiopia, proprio sulla scia del lavoro effettuato in quel paese. «È stato un periodo molto impegnativo. Nel 2009 ho ripreso in mano 18 lettere, e ho cercato di trasformarle in un li- bro. Inizialmente il testo aveva una forte impronta storica, per- ché l’Etiopia ha una storia entu- siasmante e io ne sono un appas- © AfMC / Marco Bello

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