Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2015
52 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2015 migliorare le sue competenze che mette a disposizione in brevi espe- rienze nei paesi del Sud. «È stato un periodo di “successo”, anche se, come avviene spesso in Africa, si fanno dei progetti che però non si traducono in vero em- powerment » (termine usato per definire un aumento della consa- pevolezza delle proprie capacità e della possibilità di farle valere, ndr ). Alberto lamenta però che queste belle esperienze restano spesso circoscritte. Ripartire Alberto rimane quindi nell’am- biente del volontariato interna- zionale, pur non effettuando più missioni lunghe. Però l’idea di ri- partire cova dentro. «A un certo punto mi sono deciso: volevo ri- partire per l’Africa. Dopo alcune selezioni non andate a buon fine, finalmente una Ong mi propone un posto in Etiopia, dove hanno urgentemente bisogno di un ve- terinario». Così Alberto riparte, a 15 anni dalla prima esperienza. «Sono partito con un contratto di 13 mesi, ma mi sono trovato del tutto spaesato. I valori, la carica ideale erano venuti meno, e al loro posto c’era tutta una serie di comportamenti, quasi un tea- trino, un castello di carta vuoto, fatto di rapporti scritti, relazioni, budget, fund raising (raccolta fondi, ndr ). Si giocava a fare i ma- nager». Alberto non accetta il nuovo approccio della coopera- zione, e inoltre vive anche una se- rie di disavventure con l’Ong che lo ha assunto e il suo personale italiano in Etiopia. «I valori che provavo a propu- gnare, che erano state le Ong stesse a infondermi, provocavano ilarità. Come se mi fossi vestito alla maniera dell’800 e, veden- domi andare in giro, la gente si domandasse: “Ma da dove esce questo?”». Il rapporto con gli africani Con i colleghi etiopi, al contrario, Alberto instaura un ottimo rap- porto, e sperimenta un modo di lavorare molto arricchente. «Non sono stato io a mettere in piedi un approccio partecipativo con i lo- cali, ma sono stati loro. Io sono semplicemente stato disponibile, e mi è piaciuto molto, perché è stato qualcosa che hanno preso in mano loro. Mi hanno dato corag- gio. Io mi sono sentito strumento, ma mai oggetto. Strumento in un ruolo che valorizzava la mia sog- gettività: l’apertura, la disponibi- lità alla cultura, ai mezzi locali, an- fondi per una formazione seria ai volontari in partenza (come suc- cede oggi, ndr ) è un suicidio». L’impegno in Italia Poi il rientro. Ma Alberto intende il volontariato internazionale come «un ponte a doppio senso». Il suo impegno diventa parlare in prima persona dell’esperienza vissuta, nell’ambito di quella che viene chiamata «educazione allo sviluppo»: «Quando si tornava, bisognava contribuire a dare un’informazione corretta. E su questo io ho investito molto negli anni ‘90. Ho fatto almeno una cinquantina di ore in scuole di ogni ordine e grado della mia zona e mi ero trovato bene». Ma non basta. Sempre in linea con i suoi valori di base, Alberto si oc- cupa di commercio equo e poi di finanza etica. Fonda insieme ad al- cuni amici un’associazione di vo- lontariato. Oltre al volontario, fa il veterinario, e completa la sua for- mazione professionale seguendo un corso di medicina veterinaria tropicale al Anversa, allo scopo di VOLONTARIATO # Pagina precedente : Alberto Zorloni in cammino, Etiopia, 2004. # Qui sopra : una volontaria stringe la mando di un anziano del villaggio, in Burkina Faso. # A fianco : riunione dell’équipe di progetto con i beneficiari, sotto l’albero (Burkina Faso). # A destra : preparazione di un incontro con contadini (Senegal). © AfMC / Marco Bello © AfMC / Marco Bello
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