Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2015
48 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2015 «S ono nata in Congo, giunta a Pantelle- ria per caso: ho una sorella poco più grande di me e tre fratellini piccoli e vivaci. Mia mamma è sempre riuscita a far fronte a tutte le esigenze familiari: è una donna in gamba e non si è tirata indietro quando papà le ha proposto di spostarsi più a Nord nella speranza di garantire a noi un futuro migliore. Mio papà è un insegnante di francese ed ha deciso di raggiungere la Libia per migliorare le aspetta- tive di vita dell’intera famiglia: lì ci sono scuole che meglio retribuiscono i loro docenti. Così deci- diamo di partire, il viaggio è lungo ma ne vale la pena. Giunti lì ci inseriamo molto bene: siamo una famiglia numerosa, benestante e felice. Tutto sembra aver preso una giusta piega ma nell’aria c’è un nuovo fermento di libertà: sta per iniziare la “primavera araba”, che per noi è semplice- mente un’altra guerra. Dopo giorni di terrore sotto i bombardamenti, papà decide di partire per l’Italia, trovando posto su uno di quei famigerati barconi che solcano copiosi il Mediterraneo. Siamo in sette e quindi paghiamo una somma in- gente, ma, a differenza di tanti altri disperati, papà ha i soldi per acquistare i biglietti. Nel cuore della notte, nascondendoci dalla sorveglianza mi- litare armata, riusciamo ad imbarcarci e, tra lo schianto delle bombe ed altre mille paure, a pren- dere il largo. Il mare sembra agevolare la nostra fuga, il vento è buono. Oggi è mercoledì 13 aprile 2011, sono le 5:00. Il sole non è ancora sorto, attorno c’è buio fitto, dopo cinque giorni di navigazione qualcuno dice che siamo vicini ad uno scoglio: no, non è uno sco- glio, è Pantelleria. Il mare è agitatissimo e ci fa sbattere l’uno contro l’altro; il barcone, carico di 192 persone, sembra impazzito, sbattuto da onde minacciose che ci sommergono da tutti i lati. Il barcone è sempre più vicino agli scogli, l’im- patto è orrendo e devastante, ho il cuore in gola, per davvero lo sento palpitare proprio lì: e pen- sare che fino a quel momento avevo sempre cre- duto che quello fosse soltanto un modo di dire! Uno squarcio sulla fiancata dell’imbarcazione. La paura è grande e, sperando che sia tutto finito, ac- cenno una preghiera di ringraziamento: «Dio mio, spero che questo non si ripeta mai più nella mia vita…», ma non immagino minimamente quello che ancora mi aspetta. Improvvisamente siamo catapultati letteralmente in mare: i più fortunati rimangono attaccati al barcone, altri sono ormai in balìa delle onde... E molti di noi non sanno nuotare. Solo grazie all’aiuto della guardia costiera e dei volontari che si prodigano tirandoci fuori dall’ac- qua, io, i miei fratelli, mia sorella e mio padre ce la caviamo. La mia mamma purtroppo no! Lei non ce la fa... Non sa nuotare e le onde non le lasciano scampo. Forse, se avessi saputo nuotare, l’avrei potuta sal- vare io. Il dolore, lo sconforto, sono grandissimi. L’inferno non può essere peggio di questo, ed io ci sono stata! Nel frattempo perdo i sensi, vengo salvata a fa- tica: ho promesso alla mamma che saremmo ri- masti tutti uniti e che mi sarei occupata dei bam- bini. Ci ricoverano per alcuni giorni in ospedale; gli abi- tanti della piccola isola non ci fanno mancare nulla; i medici, appena possibile, ci portano in obi- torio per salutare per l’ultima volta la mamma. I nostri cuori sono straziati dal dolore, sono ferite difficili da rimarginare, ti segnano la vita, anzi te ne tolgono anche un po’. La mia mamma, la mia giovane e bellissima mamma… Non la rivedrò mai più. Devo però aiutare i miei fratellini che forse sof- frono più di me. Al funerale ci sono tante persone, i militari, il sin- daco e tutti i superstiti alla sciagura. Appena dimessi dall’ospedale, una famiglia ci ospita nella propria abitazione: stiamo bene con Giuseppina e Mariano, ci trattano come figli, non dimenticherò mai la loro accoglienza. Nel mese di maggio andiamo a Trapani per rice- vere i documenti necessari alla nostra perma- nenza a Pantelleria. Al nostro ritorno da Trapani ci sistemiamo in una casa che papà ha preso in af- fitto. Io e mia sorella Aicha, anche se di diverse età, ci iscriviamo a scuola: purtroppo ci inseriscono in terza media perché non abbiamo con noi alcuna attestazione scolastica; i miei fratellini Vianì e Raìs alla scuola elementare, ed il piccolo Ernest all’asilo. Col passare dei giorni conosciamo tanti ragazzi e ragazze. I primi momenti a scuola sono difficili, non riusciamo a comunicare con gli altri e ho tante difficoltà anche nel relazionarmi con i pro- fessori.
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