Missioni Consolata - Maggio 2015
Dal 2005 al 2007 ho fatto un’esperienza da se- minarista in Tanzania. Sono stato a Morogoro per imparare lo Swahili, poi nella parrocchia della Consolata a Iringa, dove ho lavorato con i giovani, e infine ho fatto sei mesi in una missione rurale a Pawaga. Poi sono tornato in Italia per i due anni di specia- lizzazione, ma tra un anno e l’altro ho fatto un anno di servizio ad Alpignano con gli anziani. Dopo i tre anni in Italia, alla fine dei quali sono stato ordinato diacono, sono tornato in Tanzania per lavorare in parrocchia a Sanza, nella Rift Val- ley: il luogo più bello in cui sono stato. Una mis- sione remota dove ancora oggi non c’è il colle- gamento telefonico. Lì c’era un contatto quasi primordiale con la natura. Per seguire quello che era lo stile di vita della gente, mi sono messo ad allevare bestiame, e poi ho fatto pastorale visi- tando i villaggi. Sono stato ordinato sacerdote nel 2011 nella parrocchia di Kidamali, sulla strada che da Iringa porta al Ruaha National Park. Puoi dire due parole sul paese in cui ti trovi oggi? Quali sono le sue sfide missionarie? Il Tanzania è un paese in forte crescita econo- mica, non senza problemi ovviamente. La sfida della missione è quella di accompagnare il pro- gresso di questo popolo, ma soprattutto, io penso, di aiutarlo sia a conservare, sia a imple- mentare i suoi valori spirituali - l’accoglienza, il desiderio di coltivare le relazioni interpersonali -, alimentandoli con le virtù cristiane, come ad esempio la fedeltà, o una certa sta- bilità negli affetti. Quello tan- zaniano è un popolo in cre- scita, non solo da un punto di vista econo- mico. Lì, in generale, anche rispetto a quello che vedo in Italia, c’è più ottimi- smo nei confronti della vita, nonostante A 19 anni sono entrato nel seminario dioce- sano di Como. Quando ero già al quarto anno di studi, nel 2000, mi hanno man- dato un mese a Londra, nella casa dei missionari della Consolata, per studiare inglese. Quello che mi ha colpito lì è stato il fatto di vivere con seminaristi di tante nazionalità differenti che si preparavano per andare ad annunciare il Van- gelo ai poveri. Questa famiglia internazionale per l’evangelizzazione mi ha convinto. Ci racconti la tua storia missionaria? Entrato nella Consolata nel 2001, sono stato due anni ad Alpignano e uno a Rivoli, dove ho fatto il noviziato. I due anni ad Alpignano sono stati i più belli. Lavoravo in un’associazione («La brezza Onlus») che si occupava di persone sieroposi- tive, o che avevano problemi di tossicodipen- denza. Andavo due o tre giorni a settimana. An- che durante il noviziato visitavo gli ammalati nella corsia dell’ospedale Amedeo di Savoia. Lì incontravo problematiche e culture differenti, cosa che missionariamente mi ha stimolato mol- tissimo. Un apostolato così vario e aperto non l’ho più fatto. È stato padre Manolo Grau (for- matore ad Alpignano, ndr., vedi Amico giugno 2014) a indirizzarmi lì. L’obiettivo era soprattutto il prestare ascolto, però, ovviamente, si veniva a contatto anche con tutte le verie problematiche: sociale, sanitaria, psicologica, anche culturale, legata all’immigrazione, ecc. di Luca Lorusso Continuare a essere noi stessi P Parole di corsa © Luca Lorusso 2014 76 amico MAGGIO 2015 Nato nel 1978 a Milano, di origini Brianzole, primo di tre fra- telli, padre Marco Turra, dopo cinque anni di seminario diocesano a Como ha iniziato il suo cammino con i missionari della Consolata. Ora è al suo sesto anno in Tanzania, il paese che gli ha fatto scoprire se stesso.
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