Missioni Consolata - Maggio 2015
Q uasi tutte le aree protette del mondo, siano esse parchi nazionali o riserve faunistiche, sono o sono state le terre natali di popoli indigeni che oggi vengono sfrattati illegal- mente nel nome della «conservazione». Questi sfratti possono distruggere sia la vita dei popoli in- digeni sia l’ambiente che essi hanno plasmato e sal- vaguardato per generazioni. Spesso, le terre indigene sono erroneamente consi- derate «selvagge» o «vergini» anche se i popoli in- digeni le hanno vissute e gestite per millenni. Nel tentativo di proteggere queste aree di cosiddetta wilderness , governi, società, associazioni e altre componenti dell’industria della conservazione si adoperano per farne «zone inviolate», libere dalla presenza umana. Per i popoli indigeni, lo sfratto può risultare cata- strofico. Una volta cacciati dalle loro terre, perdono l’autosufficienza. E mentre prima prosperavano, spesso si ritrovano poi a vivere di elemosina o degli aiuti elargiti dal governo nelle aree di reinsedia- guardiani indigeni, inoltre, anche l’ambiente può fi- nire per soffrire perché il bracconaggio, lo sfrutta- mento eccessivo delle risorse e i grandi incendi au- mentano di pari passo con il turismo e le imprese. Con la campagna Parks Need Peoples , il movi- mento mondiale per i diritti dei popoli indigeni Survival International denuncia il lato oscuro della conservazione e spiega perché parchi e riserve hanno bisogno dei popoli indigeni oggi più che mai. Contro i «selvaggi» L’idea di preservare le aree di wilderness attra- verso l’espulsione dei suoi abitanti nacque in Nord America nel XIX secolo. Si fondava su una lettura arrogante della terra che mancava completamente di riconoscere il ruolo giocato dai popoli indigeni nel plasmarla e alimentarla. La convinzione era quella che a sapere cosa fare per il bene dell’am- biente fossero gli scienziati conservazionisti e che essi avessero il diritto di liberarlo dalla presenza di qualsiasi essere umano. A promuovere questo mo- dello esclusivista dei parchi nazionali fu il presi- dente Usa Theodore Roosevelt (1858-1919), secondo l quale «la più giusta fra tutte le guerre è quella contro i selvaggi, sebbene si presti anche a essere a più terribile e disumana. Il rude e feroce colono che scaccia il selvaggio dalla terra rende l’umanità civilizzata debitrice nei suoi confronti... È d’impor- tanza incalcolabile che America, Australia e Sibe- ria passino dalle mani dei loro proprietari aborigeni rossi, neri e gialli, per diventare patrimonio delle razze dominanti a livello mondiale». l primo parco nazionale della storia è stato quello di Yellowstone, negli Stati Uniti. Quando fu creato, nel 1872, ai nativi che vi vivevano da secoli fu inizial- mente permesso di restare, ma cinque anni dopo urono costretti ad andarsene. Ne scaturirono bat- taglie tra le autorità governative e le tribù degli AREE PROTETTE E POPOLI INDIGENI In nome della «conservazione», molti popoli indigeni sono stati sfrattati da aree naturali di cui da sempre sono i migliori custodi. Si tratta di una scelta profondamente sbagliata: per i popoli e per l’ambiente. A sinistra : un indio intervenuto al Forum di Manaus 2015. Pagina seguente: bimba tikuna a Umariaçu (Tabatinga), Alto Solimões, Amazonas. I PARCHI HANNOBISOGNO DEI POPOLI DI F RANCESCA C ASELLA (S URVIVAL I NTERNATIONAL )*
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