Missioni Consolata - Maggio 2015
ziare, il datore di lavoro vide i miei tattuaggi e con una scusa mi disse di tornare a casa e che mi avrebbe richiamato più avanti. Ci rimasi malissimo dato che avevo bisogno di quel lavoro. Tuttavia, non mi sono mai arresa davanti alle avversità per- ché sono una guerriera come la gran parte delle donne indigene». Una guerriera divenuta sportiva: Hari Wor è stata più volte campionessa indigena della specialità «arco e freccia». Come dice lei, scherzando sulla sua età, è la «vovó de arco e fle- cha», la nonna dell’arco e della freccia. Wall França (Wytá) viene da una famiglia con papà xavante e mamma sateré mawé. «Sì, è vero, spesso c’è discriminazione nei confronti di noi indigeni. Anche per questo sono grata agli organizzatori del Forum sociale che ci hanno dato la possibilità di ve- nire qui a far conoscere il nostro lavoro artigia- nale». Le tre donne appartengono a gruppi etnici diversi, ma i loro nomi indigeni fanno tutti riferimento alla natura: Martequi significa «macchia di leopardo», Hari Wor indica la «termite bianca», Wytá sta per «uccellino». Non si tratta di una banale tradizione, ma di un dato culturale che evidenzia l’intima con- nessione dei popoli indigeni con la madre terra. Stesso discorso vale per i prodotti artigianali che le signore indigene vendono. Tutti rimandano alla na- tura dell’Amazzonia. O perché sono fatti con mate- rie vegetali o perché raffigurano animali. La foresta: come «casa» o come «miniera» Ezequiel Fernandes André - in lingua indigena Yauatucü, «foglia verde» - è un giovane tikuna di Tabatinga. È venuto a Manaus per studiare psicolo- gia all’Università. «Nei nostri confronti ci sono preconcetti e discrimi- nazioni. E razzismo. Inoltre, la mia gente patisce lo shock culturale di trovarsi schiacciata tra due filo- sofie, quella indigena e quella dei non indigeni. Io ho scelto di studiare psicologia anche per riuscire a capire gli uni e gli altri». In quest’ottica delle due filosofie Ezequiel spiega la diversa attitudine nei confronti della biodiversità. «Per esempio, a differenza del capitalismo, noi dob- biamo preservare la natura e avere cura della no- stra casa che è la foresta da cui noi ricaviamo ali- menti e benessere». Anche Henoc Pinto Neves, 33 anni, è tikuna. «Sono tikuna nell’anima e nel sangue - dice -. Non mi ver- gogno a esserlo, né a dirlo a chiunque». Magari an- che a quel sindaco che, qualche anno fa, gli disse che un indio non ha la capacità di diventare dot- tore. Nel 2012 Henoc si è laureato in biomedicina e oggi è un analista clinico. Con le idee chiare anche sull’Amazzonia, «un patri- monio da difendere strenuamente. Noi indigeni ab- biamo cura della natura ed essa ci ricompensa am- piamente quando peschiamo, cacciamo e colti- viamo. Al contrario di noi, il bianco pensa soltanto a sfruttarne le risorse senza preoccuparsi del fu- turo». Eledilson Corrêa Dias, genitori kaixana e tikuna, si nota più degli altri. Alto, magro, torso nudo, una grossa e rumorosa collana di conchiglie al collo, un A sinistra : Henoc Pinto Neves, tikuna, al lavoro nel suo ambula- torio di Santo Antônio do Içá (stato di Amazonas). Sotto : Ezequiel Fernandes André (Yauatucü), tikuna, studente di psicologia, durante la nostra intervista. Continua a pagina 40. 38 MC MAGGIO 2015
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