Missioni Consolata - Maggio 2015
nità». Prima cosa dunque la pre- senza dei missionari in mezzo alla gente. «Ho toccato con mano la pre- senza di Dio - racconta con l’entu- siasmo di un giovane missionario. L’ultimo sacerdote era andato via da quella zona nel 1971. Era un missionario spagnolo, viveva a Ukanha, una missione a 70 km da Fingoé. Era stato un ottimo ani- matore. Ma fu costretto a lascire tutto a causa della guerra. Dopo la sua partenza, la gente ha conti- nuato ad andare in chiesa la do- menica, aggrappandosi a quello che aveva. C’era qualche catechi- sta, ma molti erano morti o si erano rifugiati in Zambia. Qualche volta da Tete andava un prete. Ho trovato fede. Ovvero comunità non molto organizzate, ma vive, che la domenica si uniscono a pre- gare. Un impegno di servizio. Per questo dico che sento lo Spirito in queste comunità. Il nostro dovere è quello di essere presenti, ma dappertutto, anche in quei villaggi che magari non hanno mai visto un prete. Con la mia mappatura ho trovato 108 comunità. Il primo verbo missionario è “an- dare” il secondo è “incarnarsi” vi- vere con la gente. Io non posso perché non so neppure la lingua, e a 76 anni non la imparo. Il porto- ghese lo parla solo qualcuno. Chiedo al Signore la grazia di es- sere uno che apre la strada». In tutta la zona sono presenti cinque lingue, la dominante è il chichewa parlato anche in Zambia, Malawi. una missione in un’area vasta e bisognosa, e storicamente legata alla Consolata. Primo: presenza «Andando in visita ho detto alla gente: siamo disposti a venire qui, a condizione che voi ci facciate una capanna. C’era già una chiesa. Ha aperto la strada il gruppo dei novizi della Consolata di Maputo, che ci hanno introdotti. Poi sono arrivati i padri Edoardo Reyes Prada, colombiano e Hyacinth Mwalongo della Tanzania a inte- grare la comunità. Padre Sandro Faedi, un altro vete- rano del Mozambico, è invece ve- nuto dall’Italia a mettere a posto i conti della diocesi». Che missione ha in testa padre Gioda? «Ho cercato di spiegare alla popolazione che non sa- remmo andati a costruire una missione, ma vivere una missione, saremmo stati fratelli di fede, che aiutano altri fratelli ad andare avanti e cercano, a loro volta, di farsi aiutare. Allo scopo di cammi- nare insieme, il più possibile». Pa- dre Franco non la interpreta come missione classica. «Per attuare questo progetto, prima cosa è rendersi conto dove vive la gente», mi dice mentre estrae da una cartellina una rudi- mentale ma efficace mappatura di tutte le comunità fatta da lui stesso, con le distanze, i nomi, le strade. Pare non se ne separi mai. E continua: «Poi occorre andare a vedere. Non possiamo chiamare la gente alla missione, dobbiamo andare là da loro, nelle comu- MOZAMBICO # In basso : formazione di catechisti a Malowera. # Sopra : festa di benvenuto per i mis- sionari in una comunità. # A destra in alto : lettura della Parola a Ukanha. # A fianco : ritratto di padre Franco Gioda oggi.
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