Missioni Consolata - Aprile 2015
bOsNIA eRzegOvINA di SABINA GARDOVIC 58 MC APRILE 2015 manico ma è tonda e si avvolge con la mano in modo da perce- pire il calore della bevanda. Su- bito dopo si prende un sorso di caffè che si mescola con il cu- betto di zucchero sciolto in bocca, ma molto lentamente, tra una parola e l’altra, fino ad arri- vare al fondo il quale, certa- mente, non è intelligente bere. Ci si ferma sempre al momento giu- sto, è nel sangue del popolo, non c’è che dire! E allora si riempie fildžan di nuovo e avanti così. Ogni sabato mattina, quindi, suor Vilma, suora croato-cattolica, ve- niva a trovare mia nonna, atea di origini musulmane. E di che cosa queste due donne, apparente- mente così diverse nelle loro cul- ture, potevano parlare ogni sa- bato? Del come avevano tra- scorso la settimana, della moda (mia nonna era sarta) che le ric- che signore della città seguivano alla lettera, di catacombe (suor Vilma aveva visitato il Vaticano ben tre volte), della poesia di un poeta che entrambe amavano molto, del come si prepara un piatto tipico dell’Erzegovina… Sì, di questo e di tanto altro, ma spesso non erano le tematiche ad attirare la mia attenzione quanto l’armonia nella quale venivano trattate e la forma, di un rispetto dalla dinamica straordinaria. Era musica per le mie orecchie. Come incantata, mi ritrovavo a guar- dare i cubetti di zucchero scom- parire dalla ciotola piano piano, quasi il loro compito fosse quello di cadenzare il tempo. «Prendine uno e inzuppalo nella mia taz- zina», mia nonna richiamava la mia presenza a tavola nella sua piccola cucina e io, seduta su una sedia con l’aiuto di un cuscino, iniziavo allora a gustarmi quella delizia proibita. Accadeva poi che a volte si unisse a loro teta Vida ( teta equivale a «zia» ed è un modo tipico di rivol- gersi a tutte le donne adulte co- noscenti o amiche di famiglia). Teta Vida, dunque, laica per ec- cellenza, era una signora di ori- gine serbo-ortodossa dall’ele- «Il valore delle cose non sta nel tempo in cui esse durano ma nell’in- tensità con cui vengono vissute. Per questo esi- stono momenti indi- menticabili, cose inspiegabili e persone incomparabili». (Fernando Pessoa) M ia nonna materna Nura e suor Vilma tra- scorrevano insieme ogni sabato mattina. Caffè, tante chiacchiere e un’infi- nità di sorrisi che, al ricordo, scal- dano la mia anima ancora oggi. Erano ciascuna la migliore amica dell’altra ed è veramente difficile descrivere l’atmosfera che si creava quando quelle due grandi donne stavano insieme nella stessa stanza. Accadeva come se il senso di tutte le cose del mondo fosse concentrato proprio lì, nei 36 metri quadrati dell’a- mato appartamento. E noi quat- tro, i miei genitori, mio fratello e io, abitavamo lì in quegli anni, fino a quando l’azienda di mio pa- dre non ci assegnò un apparta- mento tutto nostro. Quelle mat- tine di sabato, dunque, rappre- sentavano un vero e proprio ri- tuale. Ancora prima dell’arrivo di suor Vilma, tutti, come per magia, scomparivano per qualche com- missione, a parte me che, es- sendo la più piccola, rimanevo av- volta nel calore di quei momenti, quasi mi ritrovassi immersa nelle soffici nuvole bianche illuminate dal sole, un sole che altro non era che l’aria che in quel momento respiravo. Immancabilmente quell’aria si mescolava all’in- confondibile profumo del caffè fatto «alla turca» che ha tutto un suo modo per essere bevuto: prima si mette in bocca un cu- betto di zucchero inzuppato nel caffè rigorosamente versato in una tazzina detta fildžan (si pro- nuncia «filgian») che non ha un RACCONTO CUBETTI DI ZUCCHERO
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