Missioni Consolata - Marzo 2015
libera e porta pace in noi e at- torno a noi. Lettore 1: Per umiltà cristiana non intendiamo volti tristi e gare di bassa autostima autolesioni- stica! Per umiltà vera pensiamo alla capacità di ridimensionare bisogni e ansie. Per umiltà inten- diamo la capacità di essere liberi di occupare anche l’ultimo posto perché abbiamo la certezza nel cuore che «gli ultimi saranno i primi» per Dio. Lettore 2: Per umiltà intendiamo la pace di scoprire che non tutti i difetti ci rendono detestabili ma, al contrario, possono essere lo spazio di incontro con chi ci può aiutare, e che i nostri pregi ci possono spingere a soccorrere chi non li ha. L’umiltà genera fra- ternità vera. Guida: Gesù è per noi modello di umiltà da imitare. È morto e si è fatto pane per noi, e anche in questo ci chiede di imitarlo: es- sere pane per gli altri. Canto: Pane di vita Durante il canto ciascun partecipante si avvicina al pane, ne prende un pezzetto e lo porge, tornando a posto, al suo vicino. Tutti acori alterni Voci femminili: Può essere bello, ma non è certo facile farsi pane. Vocimaschili: Significa che non puoi più vivere per te, ma per gli altri. Vf: Significa che devi essere disponibile, a tempo pieno. VM: Significa che devi avere pa- zienza e mitezza, come il pane che si lascia impastare, cuocere e spezzare. Vf: Significa che devi essere umile, come il pane, che non fi- gura nella lista delle specialità; ma è sempre lì per accompa- gnare. Vm: Significa che devi coltivare la tenerezza e la bontà, perché così è il pane, tenero e buono. Guida: Essere pane per gli altri è un’impresa impegnativa, anche se a volte lo siamo senza accor- gercene, perché pensiamo di dover fare cose straordinarie, in- vece è nella semplicità del servi- zio che Dio ci guarda e ci reputa importanti. Lettore 3: La serva che portava l’acqua In un paese lontano c’era un grande castello. Vista la sua grandezza, il re, per mantenerlo sempre pulito, assunse molti ser- vitori. Tutti avevano un lavoro: c’era chi spaccava la legna, chi accendeva tutti i lumi, chi racco- glieva i fiori e i frutti, chi cuciva, chi cucinava... e ovviamente chi andava al pozzo per prendere l’acqua. Alla sera, finiti i lavori, tutti i servitori si riunivano. Ognuno raccontava la sua gior- nata, e tutti si vantavano di aver fatto qualcosa per il re, di averlo visto e di essere stato da lui rin- graziato. Marianna, era una ragazza dolce e solitaria, il suo compito era di portare acqua a chiunque la chiedesse, alla cuoca, al giardi- niere, allo stalliere, ai vari came- rieri personali del re; ma lei il re non lo vedeva mai. Ogni sera ascoltava il racconto degli altri, e si rattristava sempre più: tutti la criticavano, lei non faceva nulla per il re, e forse lui non sapeva neppure che esistesse. Marianna si sentiva inutile. Allora decise che sarebbe andata via da quel castello: anche lei vo- leva essere qualcuno! E lì non c’era posto per lei! Così fece, una sera andò via, ma arrivata alle porte del castello il guardiano la fermò e la portò davanti al re. Il re la guardò e Marianna si sentì così piena di vergogna che incollò gli occhi al pavimento per non guardarlo in faccia. Ma il re, che era una per- sona dolcissima, si sedette ac- canto a lei, e volle sapere il per- ché della sua fuga. Marianna gli disse che si sentiva inutile, gli spiegò che era criticata da tutti, e che tutti l’accusavano di non fare nulla di veramente utile per lui. Il re le disse: «Marianna tu sei la serva più importante di tutto il castello! Senza di te credi forse che gli altri potrebbero farmi fe- lice? Senza acqua non possono preparare il mio cibo, il mio ba- gno, non possono dissetarmi, non potrebbero pulire il mio ca- stello. Tu qui sei essenziale, an- che se non te ne rendi conto! Non badare a cosa dicono gli al- tri, tu per me sei importante!». Marianna pensò a quello che disse il re e rimase al castello, e quella sera quando le chiesero com’era andata la sua giornata, sorridendo rispose: «Oh, io sono solo la serva che porta l’acqua!». Tutti: Umiltà è scendere dal pie- distallo che mi sono messo sotto o che altri mi hanno messo sotto, in modo da poter strin- gere le mani e guardare gli altri negli occhi. Umiltà è spogliarmi di cariche, ti- toli e ruoli per essere nudo e de- bole. Solo così chi vuole amarmi realmente riesce a raggiungere il mio cuore. Umiltà è ascoltare il profondo bisogno che ho di Dio supe- rando la tentazione di fare sem- pre da solo. Umiltà è scoprire che salgo la scala verso Dio solo se scendo quella del servizio. Umiltà è scoprirmi bello allo specchio non perché perfetto secondo i canoni dei mass me- dia, ma perché Dio mi ama così. Canto: Ecco la strada Valerio Trisciuzzi MARZO 2015 amico 75 Elis Alves/Flickr.com
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