Missioni Consolata - Marzo 2015
48 MC MARZO 2015 frono per lavori dipendenti, anche mal pagati, per- dendo la possibilità di ricevere una buona istru- zione. Crediamo che tutti - volontariamente o for- zati dalla miseria - si mettano a lavorare. I ragazzi si prestano a fare qualsiasi tipo di lavoro. Lungo i fiumi dove fiorisce un po’ di agricoltura, è facile vederli lavorare nelle coltivazioni. Sono lavoratori che costano poco». C’è tutto un mercato per il lavoro minorile. I ra- gazzini poveri, che non si possono permettere il convitto, sono facilmente indotti a servire come pastori dalla stessa famiglia o da altri. Molti la- sciano la scuola per il lavoro non perché non vo- gliano studiare ma per far fronte alle necessità della famiglia. «È triste per gli insegnanti perdere degli studenti all’inizio di ogni nuovo semestre e non sapere dove siano finiti. Si può allora capire perché ci pensino due volte prima di lasciare andare a casa uno scolaro a prendere del denaro sia per la tassa scolastica o per comperarsi cose necessarie alla scuola. Il rischio più grande è che il bambino non torni più. Se ci si appella ai genitori, la risposta è che non hanno mezzi sufficienti per mantenere il figlio o la figlia a scuola. Così ci sono insegnanti che spesso si sobbarcano anche le spese del ra- gazzo: quaderni, matite, divisa, e perfino le scarpe», dice la signora Jane Ndegwa, preside della scuola a Simotwa. Succede così che i geni- tori lascino che i figli frequentino la scuola solo se tutto è gratuito. In questo modo l’alunno diventa in tutto dipendente dall’insegnante o da chi lo aiuta. Anche Peter Mwangi, incaricato distrettuale per i giovani di Laikipia Ovest, riconosce che la gio- ventù della regione non ha buoni modelli da se- guire: «I ragazzi non trovano nella loro comunità esempi da emulare e con cui identificarsi. Anche le figure politiche locali, quando sono invitate a venire a parlare ai ragazzi, come durante la gior- nata internazionale della gioventù, evitano il pro- blema. Noi vorremmo che appoggiassero di più il nostro progetto educativo e che dicessero chiara- mente alla comunità di finirla con tradizioni arre- trate e di impegnarsi di più ad aiutare i loro figli a ricevere l’istruzione di cui hanno diritto per mi- gliorare la loro vita». Peter Mwangi fa pure notare che i bambini sof- frono per la negligenza dei genitori che per igno- ranza valutano di più il lavoro che i piccoli pos- sono svolgere a casa che non l’educazione. «L’ot- tanta per cento della comunità non ha un vero la- voro: o sono pastori nomadi oppure lavoratori av- ventizi. Nonostante tutto, non si deve dimenticare la Sezione 53 della Costituzione che stabilisce in modo chiaro che i genitori hanno l’obbligo di prov- vedere per i loro figli. La scusa che non hanno la- voro fisso non tiene, infatti riescono a provvedere alle loro necessità giornaliere e potrebbero ri- sparmiare qualcosa anche per i loro figli». Pur- troppo la comunità è anche affetta dalla sindrome di dipendenza ed esige di essere aiutata appena ne vede l’opportunità. Pensata per i nomadi La Chiesa, per loro fortuna, si è fatta avanti, e per aiutare i bambini dei pastori nomadi ha compe- rato il terreno dove il governo ha costruito la scuola di Matigari. «Questa è la sola scuola pub- blica con convitto nella regione, aperta soprat- tutto ai bambini maasai, samburu, turkana, pokot, somali e borana. Non ci sono solo gli scolari che ri- siedono al convitto, ma anche quelli che, vivendo vicino, possono andare e venire dalle loro case». Nelle vicinanze della scuola si è già stabilita una piccola colonia di nomadi che non potendo pagare le tasse scolastiche hanno costruito le loro ca- panne permettendo ai figli di venire a scuola senza stare nel convitto. I piccoli sono accuditi dalle nonne mentre i genitori si spostano con gli armenti in cerca di pascoli. Il direttore, che è pa- dre e insegnante, insiste sul fatto che in questa area è urgente soccorrere i bambini che per ra- gioni varie non vanno a scuola. «Il ragazzino che si deve fare una decina di chilometri per venire a scuola o all’asilo va aiutato. I bambini vogliono im- parare ma la povertà è un grosso ostacolo per loro. Se qualcuno potesse aiutarli ad entrare nel convitto, potrebbero essere salvati».
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