Missioni Consolata - Marzo 2015

partendo da posizioni chiare e de- cise che fanno parte del suo retro- terra militare. Certo se noi guar- diamo la situazione politica egi- ziana dal punto di vista dei diritti umani non possiamo dire che l’Egitto sia un paese democratico. Ma adottare questa visione sa- rebbe limitante perché non ter- rebbe presente le esigenze di si- curezza che l’Egitto deve affron- tare». I piani di politica interna ed estera EGITTO 18 MC MARZO 2015 Intervista all’esperto di terrorismo e fondamentalismo islamico Sinai: il buco nero dell’Egitto P er l’Egitto il Sinai è una ferita aperta. Nella regione, terra di traffici illegali e di basi di fondamentalisti islamici, il governo del Cairo fatica a riportare l’ordine. Quando e perché la penisola è sfuggita al controllo? Ne ab- biamo parlato con Lorenzo Vidino, esperto di ter- rorismo e fondamentalismo islamico. «Il Sinai è una zona ad alta concentrazione tribale. Rispetto al resto dell’Egitto l’importanza dei clan è molto forte. A ciò va aggiunto che la Penisola è da sem- pre stata maltrattata e marginalizzata dalle istitu- zioni egiziane. Il risultato è che il Sinai è molto po- vero e vive di commerci e traffici clandestini. Nel tempo si è creato quindi un humus di disagio e un sentimento di avversione nei confronti delle forze armate egiziane e dello stato centrale. Negli ultimi anni, è il fondamentalismo islamico a essersi fatto interprete di questo astio. Ansar Beit al Maqdis («Partigiani di Gerusalemme»), il gruppo più forte e più conosciuto del fondamentalismo islamico nel Sinai, professa un jihadismo globale ma, allo stesso tempo, si caratterizza per un forte legame con il territorio e porta quindi avanti istanze locali di contrapposizione al Cairo». Il governo come ha contrastato questo fenomeno? «Durante il periodo in cui l’Egitto è stato in preda al caos post Mubarak, il Sinai è stato abbandonato a uno stato di anarchia quasi totale. In seguito, Mohamed Morsi, un po’ per incompetenza, un po’ per una certa simpatia ideologica, ha tollerato molto la crescita del movimento islamista. Quando è caduto Morsi, la situazione, che era già critica, è degenerata con attacchi sanguinosi a stazioni di po- lizia, caserme, posti di blocco, colonne delle forze armate. L’attuale presidente Abd al-Fattah al-Sisi ha dichiarato guerra al fondamentalismo, impo- nendo il coprifuoco per settimane e lanciando ope- razioni militari. A questo il governo ha associato annunci di politiche di sviluppo della regione per migliorare le condizioni di vita della popolazione lo- cale e per ridurre il bacino di malcontento dal quale pesca il fondamentalismo. Anche se lo stato, avendo pochi fondi, difficilmente darà seguito agli annunci». Nel Sinai, oltre allo Stato islamico, opera anche al Qaida? «La componente egiziana di al Qaida è sempre stata molto forte e si è rafforzata ulteriormente dopo che l’egiziano Ayman al Zawahiri ne ha preso il controllo. Alcuni esponenti di Ansar Beit al Maqdis sono storicamente vicini al movimento fondato da Osama bin Laden. Anche il governo egi- ziano ha sempre cercato di associare il fondamen- talismo del Sinai all’estremismo di al Qaida (ben- ché non sia sempre possibile verificare quanto pesi la propaganda politica). In questi ultimi mesi, però, Ansar Beit al Maqdis ha scelto di aderire allo Stato islamico». Chi sostiene questi gruppi terroristici? «Si sostengono da soli con proprie attività illegali. In particolare con il racket (taglieggiando la popo- lazione locale), il traffico di immigrati che proven- gono dall’Africa, il contrabbando verso la striscia di Gaza, ecc.». Oltre al Sinai, i gruppi jihadisti potrebbero prendere il controllo anche delle regioni occidentali? «Attualmente le regioni libiche al confine con l’E- gitto sono controllate dal governo laico di Tobruk e quindi sono relativamente sicure. L’esecutivo è però molto debole e, nel breve periodo, può cor- rere il rischio di essere abbattuto. In questa even- tualità il Cairo potrebbe trovarsi a fronteggiare milizie islamiche lungo un confine di migliaia di chilometri dai quali possono facilmente infiltrarsi miliziani e armi. Già ora armi, munizioni e uomini passano la frontiera, ma il pericolo è che la situa- zione degeneri». E.C. _________________ Per un ulteriore approfondimento rimandiamo al dossier Sventola bandiera nera , MC 1-2/2015.

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