Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2015
UNA VOCE IN MENO Caro Padre, ho letto l’editoriale «Una voce in meno» e mi uni- sco al dispiacere per la chiusura della rivista «Popoli». Sono stata un’abbonata fino a qual- che anno fa e poi ho do- vuto sospendere l’abbo- namento per motivi eco- nomici e non per il valore del contenuto. Che cosa dire? L’impegno per col- laborare, tenere attivo, vivere lo Spirito di Cristo non può venir meno per- ché verrebbe meno an- che l’uomo, ma il tempo presente è un tempo che impone delle riflessioni e dei cambiamenti, che non sono motivati solo dalle ridotte risorse eco- nomiche. Sono coinvolte l’dea di uomo e della sua pienezza, della cosa pub- blica e della sua funzio- ne, dell’educazione e dei suoi obiettivi, della so- cietà e della sua ammi- nistrazione, del lavoro e delle sue garanzie, della religione e delle sue for- me, in ultima analisi è in gioco l’idea della «ragio- ne» e del suo significato. Auguro a «Missioni Con- solata» di continuare a contribuire a tali rifles- sioni e ad approfondire il compito della «missio- ne» che non può non es- serci ma che deve svin- colarsi, a mio parere, da alcuni tradizionali con- notati che potrebbero in- durre degli equivoci ri- spetto alla sua nobile funzione. Ringrazio e sa- luto con tanta cordialità! Milva Capoia Collegno, 07/11/2014 Caro Direttore, nel tuo editoriale di no- vembre racconti di es- serti commosso dopo a- vere appreso la notizia della chiusura di «Popo- li». Sappi che io mi sono commosso a mia volta nel leggere il tuo artico- lo, così ricco di solida- rietà e di stima. E anche da altri colleghi di «Mis- sioni Consolata» mi sono arrivate testimonianze di affetto. Ringrazio tutti voi, augurandovi ovvia- mente migliore fortuna... Quanto ai contenuti del tuo editoriale, hai certa- mente centrato una que- stione cruciale: la crisi dell’editoria missionaria non è in fondo specchio della crisi della stessa missione, almeno in Ita- lia? Devo aggiungere, però, che il caso di «Po- poli» è in parte diverso e sui generis : da tempo la rivista aveva scelto di to- gliersi l’etichetta di rivi- sta missionaria in senso stretto, provando a rac- contare - naturalmente con un’ispirazione cri- stiana di fondo ben rico- noscibile - le questioni internazionali con lo stile e il linguaggio dei media laici. Questo per provare a far uscire l’informazio- ne su certi temi dal ghet- to in cui, non sempre per scelta loro, spesso fini- scono le riviste missio- narie. In questo senso, le mi- gliaia di giovani nuovi ab- bonati conquistati in questi anni e le decine e decine di lettere arrivate in redazione alla notizia della chiusura, ci confor- tano e dicono che la stra- da forse non era sbaglia- ta. Il problema è che per far sì che questo tipo di operazione stia in piedi, e dunque stia a tutti gli ef- fetti «sul mercato», co- me dicono gli economi- sti, occorre che l’editore possa e voglia investire anche nella promozione e nel marketing, cosa che nel caso di «Popoli» non è stata fatta. Infine una precisazione: «Popoli» non chiude per- ché «strozzata dai debi- ti», come hai scritto. Il deficit della rivista certa- mente non era piccolo, ma veniva regolarmente ripianato con altre entra- te su cui può contare l’e- ditore della rivista, ovve- ro la Fondazione Cultu- rale San Fedele di 6 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2015 redazione@rivistamissioniconsolata.it mcredazioneweb@gmail.com Milano, di proprietà dei Gesuiti: in questi anni la Fon- dazione non si è indebita- ta per un so- lo euro per sostenere «Popoli». Semplicemente è stato deciso di usare diversa- mente tali risorse, privi- legiando altre priorità. So bene che hai scritto queste cose solo motiva- to da affetto e ti ringrazio nuovamente, ma mi sembra doveroso fare arrivare questa precisa- zione ai lettori per ri- spetto verso il lavoro mio e dei miei colleghi e ver- so l’editore di «Popoli». Un abbraccio Stefano Femminis Direttore di «Popoli» Email, 24/11/2014 Grazie della precisazione, che certo non addolcisce quanto è avvenuto. Quanto all’etichetta di ri- vista missionaria, sai be- ne che dal dopo Concilio abbiamo tutti noi fatto un grande cammino per scrollarci di dosso gli ste- reotipi che ostinatamente rimangono legati a una antiquata concezione di missione. Quanti missio- nari hanno pagato con la vita e a volte col sangue per una missione nuova fatta di giustizia e pace, dialogo e rispetto, acco- glienza e incontro, e cura e difesa del creato. Una nuova visione di Chiesa popolo di Dio, tutta mis- sionaria perché testimone e serva dell’amo- e di Dio per gli omini, una Chiesa non cleri- cale, una comu- nità di comunità, ievito e fer- mento di vita e di bene nella amiglia uma- na. Sulle pagine delle nostre riviste, nei nostri siti, abbiamo speso fiumi di parole per questo. Ma gli stereotipi sono duri a morire, soprattutto quan- do superarli richiedereb- be un profondo cambio di mentalità, e non solo nel- la Chiesa. I retaggi di co- lonialismo, razzismo, pa- ternalismo e superiorità culturale sono duri a mo- rire in tutti. Noi viviamo in una società in cui si pensa di risolvere i problemi cambiando le parole senza modificare i contenuti e il modo di pensare. Mi sento di dire che noi missionari, circa la Missione, non abbiamo fatto un semplice lavoro di cosmesi o metamorfosi linguistica, ma l’abbiamo davvero liberata dalle in- crostazioni e dall’usura del tempo facendola di- ventare una parola «po- tente», capace di rivolu- zionare il mondo sullo sti- le di Gesù. Forse dovremmo cambia- re le testate delle nostre pubblicazioni, salvando la sostanza. Anch’io mi sen- to ferito quando qualcuno, senza conoscerci, rifiuta la nostra rivista perché, vedendo la parola «mis- sioni», pensa a soldi e be- neficenza paternalista che crea dipendenza. Conosci lo sfogliabile di MC? Scoprilo online su www.rivistamissioniconsolata.it
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