Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2015
della dottrina di Muhammad ibn Abd al-Wahhab: «una regola, una autorità, una moschea». «Questi tre pilastri fanno esplicito riferimento al re saudita, autorità assoluta del wahhabismo ufficiale e al suo controllo “della parola” (cioè, la moschea). La negazione da parte dell’Is di questi tre capisaldi, sui quali l’intera autorità sunnita poggia tuttora, è la frattura che rende l’Is - gruppo che sotto ogni al- tro aspetto rispetta e si conforma al wahhabismo - una minaccia per l’Arabia Saudita». Gli interessi divergenti di Arabia Saudita e Stato islamico Chi ha familiarità con questa parte di storia del mondo arabo-islamico non ha difficoltà a compren- dere il legame tra gli eventi del passato e le gesta dell’Is nell’Iraq odierno. Dopo un periodo di eclissi, il wahhabismo tornò a imporsi con il crollo dell’im- pero ottomano, durante la prima guerra mondiale. Spiega Crooke: «Gli Ikhwan 4 erano la reincarna- zione di quel movimento feroce e semi-indipen- dente, dei “moralisti” wahhabiti, armati, che quasi erano riusciti a conquistare l’Arabia nei primi anni del XIX secolo. (…) Il wahhabismo subì una trasfor- mazione forzata da movimento di rivoluzione jiha- dista e di purificazione teologica takfiri a movi- mento di conservazione sociale, politica, teologica e da’wa religiosa (proselitismo islamico) e per giu- stificare l’istituzione che sosteneva la lealtà alla fa- miglia reale saudita e al potere assoluto del re». Con l’era del petrolio e dei suoi enormi proventi, i sauditi cominciarono a diffondere e divulgare il wahhabismo all’interno del mondo musulmano, a «wahhabizzare» l’Islam, creando una religione a parte, chiusa e unificata in un’unica visione non più pluralista. Aggiunge Crooke: «Miliardi di dollari furono inve- stiti - e lo sono tuttora - in questa manifestazione di soft power . Tutto ciò, unito alla volontà saudita di orientare l’Islam sunnita secondo gli interessi ame- ricani (…) creò una politica occidentale di dipen- denza dall’Arabia Saudita, una dipendenza che dura dall’incontro di Abd-al Aziz con Roosevelt a bordo di una nave da guerra statunitense (di ri- torno dalla Conferenza di Yalta) fino ad oggi». L’Is è wahhabita, ma con un radicalismo diverso. Vari studiosi ritengono che potrebbe essere defi- nito come un movimento neo-wahhabista o una sorta di «correzione» del wahhabismo. «L’Is - scrive Crooke - è un movimento “post-Me- dina”: si rifà alle pratiche dei primi due califfi, piut- tosto che al profeta Muhammad in persona, come fonte di emulazione, e nega fermamente l’autorità saudita. Mentre la monarchia saudita fioriva nel- l’era del petrolio come istituzione sempre più va- sta, l’interesse verso il messaggio Ikhwan guada- gnò terreno (a dispetto della campagna di moder- nizzazione di Re Faisal). L’approccio Ikhwan ha go- duto - e gode tuttora - del sostegno di molti uomini, donne e sceicchi di spicco. Da un certo punto di vi- sta Osama bin Laden incarnava perfettamente l’approccio Ikhwan nella sua tarda fioritura. (…) Nella collaborazione alla gestione della regione da parte dei Sauditi e dell’Occidente, all’insegui- mento dei tanti progetti occidentali (la lotta al so- cialismo, al ba’athismo, al nasserismo, al sovieti- smo e all’influenza iraniana), i politici occidentali hanno sostenuto la loro interpretazione preferita dell’Arabia Saudita (la ricchezza, la modernizza- zione e l’influenza), scegliendo tuttavia d’ignorarne l’impulso wahhabita». Il radicalismo islamico era considerato dai servizi segreti statunitensi come un utile strumento ( use- ful asset ) 5 per destabilizzare e sconfiggere l’Urss in Afghanistan e, negli anni delle «Primavere arabe» 6 , è stato usato per abbattere regimi arabi che ormai non erano più sostenibili o utili. Si chiede dunque Crooke, e con lui molti altri anali- sti e studiosi di geopolitica del Medio Oriente: «Perché dovremmo essere sorpresi se dal mandato saudita-occidentale del principe Bandar di gestire l’insorgenza siriana contro il presidente Assad sia poi emerso un tipo movimento d’avanguardia neo- Ikhwan, violento e spaventoso come l’Is? E perché mai dovremmo stupirci - conoscendo un po’ il wah- habismo - se i rivoltosi “moderati” siriani sono di- ventati più rari del mitico unicorno? Perché avremmo dovuto immaginare che il wahhabismo radicale avrebbe generato dei moderati?». Si tratta certamente di un calcolo che gli strateghi statunitensi avranno fatto, machiavellicamente, scegliendo nuovamente un utile strumento per giu- stificare un’altra fase dello «scontro di civiltà». Coltelli e cellulari satellitari: il Medioevo tecnologico dello Stato islamico «Arriveremo fino a voi, invaderemo l’Europa e di- struggeremo l’America, renderemo schiave le vo- stre donne e orfani i vostri figli come voi avete fatto con noi», così dichiara, quasi piangendo, un com- battente nel video sull’Is prodotto dall’agenzia Vice News nell’estate del 2014 7 . È un interessante, e in- quietante, servizio giornalistico embedded sul «Ca- liffato islamico di Iraq e Siria», che spiega abba- stanza chiaramente su quali punti si basino la pro- paganda e le azioni delle bande islamiste: rabbia anti occidentale e orgoglio ferito dalle politiche neocoloniali di Stati Uniti ed Europa, e uso stru- mentale della religione come arma di vendetta, ri- scatto e conquista o «riconquista» dei territori un tempo appartenenti agli Imperi omayyade (con ca- pitale Damasco) e abbaside (con capitale Baghdad) - da cui fanno derivare il nome di Califfato di Siria e Iraq. Le parole piene di collera e rancore dell’uomo nel video ci rimandano immediatamente a 20 anni di guerra contro l’Iraq da parte di Stati Uniti e alleati, alle vergognose immagini di Abu Ghreib (il carcere statunitense nei pressi di Baghdad, dove i detenuti - tra cui molti innocenti - venivano torturati e umi- liati) o a quelle di Guantanamo, o alle tante donne, anche bambine, stuprate dalla soldataglia delle truppe di invasione. GENNAIO-FEBBRAIO 2015 MC 41 DOSSIER MC IS
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