Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2015
apostati ( kuffar e murtadin ) musulmani (tutti co- loro, cioè, che non condividono la linea politico-reli- giosa dell’Is), lotte interne, vendette e orgoglio sun- nita dopo anni di dominazione sciita e alawita in Iraq e Siria, e altro ancora. Si tratta di un feno- meno aggressivo, spettacolare fino alla teatralità più macabra che riscuote successo sia nel mondo arabo-islamico sia in Occidente, in particolare tra le giovani generazioni di immigrati musulmani. Così, tra i jihadisti, troviamo: benestanti e laureati (molti arrivano dall’Europa e dagli Usa); giovani emarginati delle periferie urbane occidentali e arabe alla ricerca della propria identità e dai pro- getti di integrazione falliti; poveri e disperati delle città e villaggi del mondo arabo-islamico invaso dalle truppe americane; oppressi da regimi dispo- tici locali o stranieri; notabili e membri di tribù sunnite che vogliono vendicarsi dei loro vicini o di leader di altre fazioni islamiche; ovviamente mer- cenari e larghe schiere di criminali e psicopatici. È un « melting pot » trasversale a luoghi, censo e età, e catalizzatore di sentimenti e aspirazioni contra- stanti e differenti. Indubbiamente, ciò che li con- traddistingue è la rabbia e la ferocia con la quale si abbattono su città e villaggi e su chi osa rifiutarli, e contro le minoranze etniche e religiose. Il nuovo fondamentalismo dell’Is Questo fondamentalismo non è più solo un luogo semantico in cui sono verbalizzate le differenze tra Occidente e Oriente, tra «voi» e «noi», tra «infe- deli» e «credenti». È una separazione materiale, un’esclusione e eliminazione fisica della «diffe- renza», dell’alterità, nel nome di una credenza sog- gettiva di un’appartenenza a un gruppo religioso ritenuto «eletto» e per tanto migliore e più fedele alla «Verità» rispetto a tutti gli altri. È un’adesione a una linea di «parentela» religiosa stretta, esclu- dente e discriminante, che, attraverso un «patto» di fedeltà, crea una sorta di «coscienza storica» di gruppo che include chi vi aderisce rispettando alla lettera norme e vincoli, e elimina chiunque non vi si riconosca del tutto. Tuttavia, il patto in sé può non essere sufficiente. L’unità della «comunità» deve fondarsi su un’in- sieme di riferimenti identitari, nel caso dell’Is, poli- tico-culturali e religiosi. Ne risultano, così, un senso di appartenenza e un sentimento tanto po- tenti quanto irrazionali, che creano razzismo e xe- nofobia verso tutti gli altri, ma che forniscono al movimento un’identità e una coesione forti, dai ca- ratteri specifici: la religione è l’Islam (nella ver- sione radicale e intollerante), la lingua comune è l’arabo (lingua sacra, in quanto emanata dal Co- rano), il territorio è lo Stato islamico di Iraq e Siria, ma con una velleità di Dar al-Islam (Casa dell’Is- lam, in contrapposizione al Dar al-Kuffar , Casa della Miscredenza, cioè i territori non ancora isla- mizzati) in continua espansione, e dunque in ver- sione «colonizzatrice». Il prodotto finale assomiglia, quindi, più alla conce- zione moderna di nazione, con tutto l’apparato co- loniale al seguito, che a un neocaliffato nello stile del vecchio Impero arabo-islamico, dove alla con- quista di immensi territori non corrispondeva l’as- similazione forzata dei popoli vinti, bensì quella dei conquistatori alle culture dei paesi conquistati. Al confronto dei grandi Imperi omayyade (661 - 750), abbasside (750 - 1258) e ottomano (1281 - 1923), l’intollerante e escludente Is risulta velleita- rio nei suoi progetti. E, soprattutto, poco musul- mano, in senso tradizionale. L’introduzione di fattori di modernità è, infatti, evi- dente in alcuni suoi elementi: 1) la concezione dello Stato-nazione fondato sull’origine comune e mitiz- zata di una «Medina, città ideale» (in quanto è la città dove emigrarono nel 622 i primi musulmani, perseguitati dai politeisti de La Mecca, e dove crearono la prima comunità di fedeli, la ummah ), stretta intorno al suo novello capo, Abu Bakr al- Baghdadi che, nonostante non si sappia veramente chi sia, viene fatto discendere dalla famiglia di Mu- hammad, attraverso il nome al-Qurashi (la tribù cui apparteneva il profeta dell’Islam). 2) L’accapar- ramento e lo sfruttamento delle risorse petrolifere dei territori conquistati, del denaro (transazioni economiche di varia natura). 3) L’uso dei mezzi di comunicazione di massa. Il progetto di jihad (in- teso come sforzo bellico, guerra) globale, infatti, è ripreso nei social network, dove si spazia dal prose- litismo al reclutamento di combattenti, dall’inco- raggiamento della lotta contro gli infedeli (dai non musulmani fino ai musulmani sciiti, ai sunniti non allineati o ad altre minoranze) fino alla lotta contro i «corrotti costumi occidentali» e alla certezza che l’Europa sarà islamica, e così via 2 . Ciò che a fine Ottocento nell’Islam fu una ricerca religiosa riformista, di ritorno alla purezza delle origini, ai fondamenti della fede (questo significa «fondamentalismo» e, in particolare, in uno dei suoi aspetti che è il salafismo, da salaf , «pii ante- nati», cioè i primi fedeli della neonata comunità musulmana), anche in reazione al colonialismo oc- cidentale, è stata trasformata in una ideologia poli- tico-religiosa con tre direttrici differenti: 1) la quie- tista, quella dei puristi, dedita più che altro alle opere caritatevoli e alla missione ( da’wa ) catechi- stica; 2) l’Islammilitante che mira a ristabilire il «califfato», senza l’uso della violenza ma attraverso il cambiamento pacifico dei governi (come avve- nuto con la Fratellanza musulmana); 3) il salafismo jihadista, o neosalafismo, che ha l’obiettivo di ri- creare il califfato attraverso il jihad , inteso come guerra e violenza. È quest’ultimo il caso del net- work di al-Qaida nelle sue varie sigle e filiazioni sparse tra Africa e Asia, e del figlio ribelle, l’Is, ov- vero il Califfato islamico di Siria e Iraq. Quest’ultimo gruppo, in particolare, è considerato Mosul, giugno 2014: Abu Bakr al-Baghdadi, autoprocla- matosi califfo, mostra al mondo il proprio volto durante un sermone tenuto nella grande moschea della città irachena. DOSSIER MC IS GENNAIO-FEBBRAIO 2015 MC 37
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