Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2015
• Popoli indigeni | Indios | Storia • MC RUBRICHE visto. Tutto ciò dava a loro una superiorità tecnologica e militare al cui confronto le nostre modeste armi non po- tevano certamente competere. Quando Juan Diaz de Solis, al comando delle navi spagnole, primo europeo che risalì il corso del Rio De La Plata, si incontrò con la vostra gente, capiste subito che la superiorità non solo tecnico militare ma anche di navigazione, avrebbe significato per voi la fine della vostra presenza in quelle zone. Juan de Solis risalendo il Rio De La Plata si incontrò con i nostri avi e non fu certo un incontro facile: ogni volta che i conquistadores sbarcavano nei villaggi situati sulle rive del grande fiume, si comportavano da padroni, occupa- vano le nostre terre, prendevano le nostre donne e ci cacciavano dall’ambiente in cui noi avevamo vissuto fino a quei giorni. In uno di questi conflitti Juan Diaz de Solis rimase ucciso, non è così? È vero, però noi non sapevamo di aver ucciso il coman- dante in capo, perché subito il comando fu preso da altri uomini della spedizione, e il modo di comportarsi nei no- stri confronti non cambiò per nulla. Gli spagnoli, quando catturavano qualcuno di noi e lo facevano prigioniero, lo riducevano in schiavitù e lo vendevano al miglior offe- rente. Inoltre gli adolescenti di ambo i sessi venivano for- zatamente messi a servizio delle dimore dei conquistado- res. Cresceva quindi in noi un grande astio verso queste persone che in un primo momento avevamo accolto come ospiti. Ci rendemmo conto ben presto che a loro interessavano solo l’oro e l’argento. E quando non li tro- vavano, occupavano la nostra terra dichiarandola loro proprietà. Più o meno quanti eravate? Non esistono cifre precise, ma possiamo, con un certo grado di esattezza, dire che, all’arrivo degli spagnoli, era- vamo dalle trenta alle quarantamila persone. Avevamo un’organizzazione sociale per la quale ogni comunità eleggeva il suo cacique (capo), responsabile di guidare e custodire la sua gente. La vostra economia su che cosa si basava? Per vivere ci bastava quanto ci dava la natura, la carne ci era fornita soprattutto dai ñandù , una specie di struzzo di dimensioni più piccole che viveva nelle nostre zone e che noi cacciavamo con le bolas , cioè tre pietre legate alle estremità di lacci che facevamo ruotare sopra la te- sta. Esse si aprivano a mo’ di raggiera di una ruota e, una volta lanciate, si attorcigliavano attorno alle zampe degli animali facendoli cadere. Le zone dove si andava a cac- ciare erano ben delineate, nessuno di noi poteva andare a caccia nei territori di altre tribù. Sbaglio o avevate anche una certa fama di guer- rieri? Non sbagli affatto, eravamo gelosi della nostra terra e del nostro fiume, così, come tutte le altre etnie erano at- taccate alla loro. Ci difendevamo con le unghie e con i denti quando altri ci assalivano o volevano portarci via la cacciagione che faticosamente avevamo messo insieme. Ma la vostra grinta leggendaria non servì a molto quando arrivarono gli europei, nella fattispecie gli spagnoli… Eh sì! Ci accorgemmo ben presto che bolas , lance e frecce, non erano assolutamente in grado di misurarsi con gli archibugi, le spingarde e i cannoni. In più gli spa- gnoli avevano anche i cavalli che noi non avevamo mai
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