Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2015

12 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2015 compassione coincide con l’in- capacità di guardare oltre se stessi. La missionarietà è coltivare uno sguardo nuovo e genera- tivo , in grado di cogliere il pic- colo nel grande, di creare no- vità, e di ricomporre la fram- mentazione in un mondo glo- bale come quello in cui vi- viamo. Dobbiamo cambiare il nostro sguardo per guardare la realtà, imparare a leggere i se- gni dei tempi. E poi, ANDARE e STARE . L’u- scire è un movimento fatto di andare e stare. Che non sono due movimenti contrapposti, ma bensì legati in un dinami- smo che radica l’andare e apre lo stare. Allora andare non è seguire l’itinerario tracciato da un altro, una strada prestabi- lita, ma essere disponibili al- l’incontro , a fermarsi per nar- rare, per testimoniare. E stare non è rinchiudersi in se stessi in una dimensione intimistica, ma significa stare con la porta aperta. ABITARE . Il quadro in cui stiamo vivendo in questi anni è quello del villaggio globale, af- fiancato dalla città-mondo, in cui si concentra il 50% della po- polazione mondiale divisa tra luoghi di élite e luoghi di scarto. In questo contesto abi- tare il mondo significa rendere reale una possibilità di vita . Il rapporto tra centro e perife- ria non dipende più solo da fat- tori geografici. Viviamo conti- nue situazioni di frontiera, con- Uscire per correre il rischio di camminare in spazi scono- sciuti. Uscire per avere il corag- gio di affrontare nuove do- mande e nuove sfide. Dal verbo «uscire», che dob- biamo imparare a declinare nel nostro quotidiano, si dipanano, come in un lungo filo, altri verbi che sono ricorsi in tutte le rela- zioni ascoltate in questi giorni. Ma elencare questi verbi non esaurisce il processo che si è messo in moto attraverso il Con- vegno. Ascoltare questi verbi è ascoltare una storia che non avrà fine finché ci saranno narratori che avranno voglia di raccontarla. Immaginiamo quel vecchio gioco in cui un bambino comincia una storia, che viene continuata dal suo vicino, e poi da un altro bam- bino, e così via. Ecco, questo è quanto dobbiamo fare noi con le tante parole di questo nostro Convegno, con i verbi che pren- dono slancio da «uscire». Non c’è nulla di chiuso, nulla di concluso in queste righe che fanno da sin- tesi. Ciascuno di noi è, anzi, invi- tato a riprendere questi verbi e a continuare il racconto. D’altronde, uno di questi verbi è proprio NARRARE . Uscire dalle retoriche consuete per assumere nuove narrazioni. Evangelizzare è narrare. Per questo è tempo di testi- moni che mostrino come l’ec- cedenza di fede sia generatrice di vita. Quello che abbiamo sperimentato viene, così, detto nuovamente, con una parola che racconta, che narra, in una prospettiva di significato e di relazione. Occorre trovare un linguaggio nuovo che non abbia come unico intento quello dell’infor- mazione, ma anche quello della narrazione, che è un’arte da coltivare. Come l’antico griot africano capace di dare senso alla memoria, alla tradi- zione, all’identità di un popolo. GUARDARE . Non è possibile fare a meno di uno sguardo at- tento sulla realtà. Uno sguardo che sia capace di compassione. Giona non sa guardare in que- sto modo, e la mancanza di ITALIA

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