Missioni Consolata - Dicembre 2014

28 MC DICEMBRE 2014 Il pranzo di Natale Anche l’invito al pranzo di Natale o alla cena della vigilia, come la fi- gura di Babbo Natale, ha un suo senso profondo che oltrepassa quello della gioia dello stare as- sieme: invitare qualcuno a un pa- sto singnifica donargli qualcosa di nostro allo scopo di nutrirlo, do- nare la vita. «Dal punto di vista del cristianesimo è fonte di grande riflessione il fatto che Gesù ci abbia consegnato la cer- tezza della sua presenza proprio dentro un pasto. Il pasto ha per gli uomini qualcosa di altamente simbolico. Il bisogno di nutrirci non è soltanto a un livello biolo- gico. Con il pasto esprimiamo la consapevolezza fondamen- tale che Per arrivare alla conclusione che il dono (quello vero) è una spina nel fianco del materialismo con- sumista, il testo compie un per- corso che inizia da un’interpreta- zione molto bella, a nostro modo di vedere, della figura di Babbo Natale. «Nell’era del capitalismo e del consumismo - ci dice don Repole -, anche una tradizione come quella del regalo natalizio rischia di essere assorbita dai di- namismi consumistici. Ciò non to- glie però che l’atto di scambiarsi doni a Natale riveli la nostra resi- stenza umana proprio ai meccani- smi del consumismo, perché dice che gli uomini non sono soltanto mercato. Ad esempio la figura di Babbo Natale, individuo che porta regali venendo da un luogo sconosciuto, rappresenta simboli- camente il fatto che la vita stessa ci è stata data da qualcuno, e ar- riva da lontano». Babbo Natale è un uomo anziano. Sembra più un nonno che un babbo. Don Ro- berto suggerisce che anche que- sto è un simbolo, quello del le- game tra le generazioni: «Ciò di cui viviamo è frutto non soltanto di chi ci ha immediatamente pre- ceduti, ma ci è donato da tutta l’umanità vissuta prima di noi. Cosa su cui non riflettiamo mai a sufficienza, soprattutto perché la logica capitalistica ci spinge a pensare che siamo noi gli unici protagonisti e artefici di noi stessi». Babbo Natale esprime una comunione più profonda di quella che i nostri occhi carnali possono vedere: «Siamo in comu- nione con tutte le generazioni che ci hanno preceduto, non fosse altro che per il fatto che loro hanno permesso a noi di vi- vere la nostra vita così come la vi- viamo. La consapevolezza del le- game tra le generazioni andrebbe recuperata, perché in questo mo- mento storico corriamo il rischio di mettere una generazione con- tro l’altra invece di sottolineare il debito che ciascuna ha nei con- fronti della precedente e la re- sponsabilità nei confronti della successiva». ITALIA non ci diamo la vita da soli, e che abbiamo bisogno di prenderla da fuori. E il fatto stesso di mangiare insieme dice che noi umani rice- viamo e nello stesso tempo of- friamo la vita agli altri. L’invito al pasto, soprattutto in contesti di grande povertà, significa “io, per una volta, mi prendo cura della tua vita”». Il dono contraffatto Ma, domandiamo a don Roberto, la realtà del dono è sempre posi- tiva? Pensiamo ad esempio ai re- galini dei pacchetti di merendine, per nulla disinteressati, alle dona- zioni che i paesi ricchi fanno ai paesi poveri potenziando un cir- colo vizioso di dipendenza dei se- condi dai primi, a un certo atteg- giamento di «dispensare carità» che, con il donare ai poveri, certifica e rafforza la loro condizione di emarginazione invece di in- cluderli. «Il dono può essere Louis Vest/Flickr.com

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